Arte Contemporanea

Letteratura e realtà

Introduzione

sinossi

In questo articolo faccio delle considerazioni sul legame tra Letteratura e Realtà, ovvero vi racconto di letteratura legata a fatti storici e in generale di narrazione e dei cosiddetti oggetti finzionali; dunque in particolare trovo importante approfondire la discussione sul rapporto letteratura-deportazione (Lager diskurs), cruciale specialmente nella storia letteraria tedesca.

Heinrich Böll è parte fondamentale del processo che conferisce una giusta autonomia a testi che sono da derubricare dalla semplice memorialistica a favore di qualcosa a sé stante che mette in discussione assiomi tradizionali e coinvolge una seria riflessione estetico-letteraria.

Notevoli nel corso dell’articolo i riferimenti testuali a Se questo è un uomo di Primo Levi sopravvissuto ad Aushwitz, poi non ultimo al testo Der SS Staat (Lo stato delle SS) di Eugen Kogon sopravvissuto a Buchenwald; dal punto di vista filosofico segnalo la presenza di un forte personale richiamo alla riflessione su Ludwig Wittgenstein non citato direttamente e a Walter Benjamin citato direttamente così come su Charles Sanders Peirce.

testo, autore, critica

La Letteratura è fatta di testi e di autori, ma è anche fatta dal pubblico che riceve questi testi leggendoli per divertimento, commentandoli per passione, studiandoli per trovare punti di continuità e di discontinuità rispetto ad altri autori e medesime tematiche.

Perciò nel bilancio di che cosa sia la Letteratura vediamo tre elementi fondamentali, i testi, gli autori e il pubblico o per così dire la critica.

Di estrema importanza quando si vuole fare Letteratura, sia in veste di autori che in veste critica, è cercare di conoscere il maggior numero di opinioni riguardo a un testo, così infatti è possibile trovare elementi inizialmente non indagati per varie eventualità, come ad esempio una mancanza di sensibilità personale a riguardo di una tale discussione che dunque rimarrebbe in nuce nel testo, per così dire non scoperta, oppure ad altro esempio per distrazione o semplicemente per ignoranza pura e semplice.

Di solito è sufficiente leggere una buona introduzione al testo, di cui spesso i libri stessi sono dotati o in forma di prefazione o in forma di postfazione, a seconda della visione dell’editore a riguardo del volume; in altre parole un testo di solito è già corredato da una critica che evidenzia gli aspetti principali e ne traccia una storia, insomma lo contestualizza.

Quando siamo in buone mani la contestualizzazione è duplice, una riguarda la storia narrata nel testo, l’altra riguarda la periodizzazione storico-letteraria del testo, ovvero fornisce informazioni sia sul periodo in cui il testo è stato scritto, da un punto di vista storico-letterario inserendolo quindi in una eventuale possibile corrente artistica sia su un piano della vita dell’autore, per esempio specificando se si tratti di un testo che appartiene alla maturità dello scrittore oppure se sia legato a un particolare periodo creativo.

è una storia fantastica o vera?

Tra le molte tipologie di testo narrativo, per capire subito a cosa sono di fronte io di solito mi chiedo, ma è una storia di fantasia oppure è vera? Ecco dunque banalmente che la prima grande distinzione tra testi è quella che comunemente è detta distinzione tra Fiction e Non-fiction, in questo modo si mette una prima etichetta, una specie di bollinatura:

  • Fiction si attribuisce a tutto quello che è prodotto di libera fantasia,
  • Non-fiction a quanto è una narrazione di fatti reali;.

Per ora provo a spiegarmi meglio, nel paragrafo seguente, raffinando la definizione di Fiction e Non-fiction, ma premetto che questo, come potete intuire, non è sufficiente per capire bene il legame tra la letteratura e la realtà, perché questa distinzione (Fiction o Non-fiction) è frutto di un punto di vista, dunque è parziale.

Se da una parte è vero che essa è un punto fondamentale per iniziare a parlare del legame tra letteratura e realtà, è vero anche che limitarsi a questa classificazione è del tutto riduttivo, tralascia infatti un merito fondamentale della letteratura ovvero di farci capire, calandoci in una situazione ricostruita in modo fittizio, come stavano realmente le cose, infatti la descrizione di qualcosa di reale non è qualcosa che sussiste solo nei saggi o nei reportage giornalistici.

La linea di demarcazione che lega l’una Fiction, all’altra Non-fiction, è molto più complessa e merita di essere approfondita.

Non è forse vero che ogni volta che raccontiamo qualcosa applichiamo un filtro, ovvero che la narrazione porta con sé un punto di vista e per quanto essa possa essere fedele all’evento, comunque come minimo essa passa attraverso a una interpretazione logico-temporale, in termini peirciani, non è forse vero che non possiamo esimerci dal pensare in segni?.

Tutto ciò su cui riflettiamo ha un passato e ogni pensiero deve essere interpretato in un altro pensiero, ovvero ogni pensiero -conclude Peirce – deve necessariamente essere pensiero in segni.

dalle mie Lezioni su Charles Sanders Peirce, filosofo americano.
Fiction e Non-fiction

Tralasciando del tutto la distinzione tra poesia e prosa che è tanto arbitraria, quanto evidente e ivi irrilevante, la Letteratura si divide di solito in due grandi gruppi per i quali usiamo due termini anglofoni, ovvero Fiction e Non-fiction, andando così a fare una separazione grossolana, nel primo insieme infatti si annoverano testi che sono storie immaginarie, nell’altro testi che raccontano storie realmente accadute.

Le distinzioni come è noto diventano poi moltissime, infatti quando si va a parlare di generi letterari, a seconda del contenuto il testo va rubricato in un genere oppure in un altro.

Sottogeneri Fiction

All’interno del grande insieme cosiddetto Fiction, come potete approfondire facendo un giro tra gli scaffali di una buona biblioteca oppure di una libreria oppure leggendo un testo scolastico di letteratura, troviamo ad esempio testi che sono incardinati sulla scoperta delle vicende che hanno portato a un crimine, sono detti gialli; altri che sono legati a una storia d’amore sono considerati romanzi rosa e così via.

Per esempio, noir, il genere che raggruppa storie estremamente cupe anche in questo caso, come per i gialli, legate a crimini, ma si tratta piuttosto di delitti efferati; il discrimine è legato specialmente alla penna dello scrittore che per il noir calca esageratamente sul racconto dell’assassino e sulla violenza.

Poi per altro genere si cita l’horror, che genericamente è caratterizzato da eventi spiegabili in maniera soprannaturale e da grande suspance.

Sottogeneri non-fiction
  • saggio,
  • mémoire,
  • pamphlet,
  • saggio divulgativo,
  • Lagerdiskurs,
  • … .

I cosiddetti Non-fiction si dividono in sottogeneri letterari, ad esempio elenco i seguenti tipi: il saggio, il mémoire, il pamphlet, poi in quella che per la loro natura considero una linea di confine, una zona d’ombra tra il fiction e non-fiction, troviamo da una parte il saggio divulgativo e poi finalmente i testi che potremo chiamare appartenenti al Lagerdiskurs, prendendo a prestito una locuzione che già è normalmente usata per indicare genericamente i testi e in generale la discussione intorno ai campi di sterminio, ovvero i testi che raccontano l’orribile e tragica esperienza della Seconda Guerra Mondiale nell’ambito ristretto e estremo dei campi di concentramento e sterminio con gli occhi dei sopravvissuti, in altre parole dal punto di vista di chi ha vissuta quella terribile esperienza al limite.

Lager Diskurs

Seconda Guerra Mondiale: Conflitto armato mondiale svoltosi dal 1939 al 1945 durante il quale fu impiegata in modo offensivo, per la prima volta, la nuova tecnologia della bomba atomica durante il 6 e il 9 agosto 1945.

La potenza distruttiva della nuova arma atomica determinò la resa definitiva del Giappone alleato della Germania nazista e dunque il termine ultimo del conflitto armato, in altre parole la deposizione delle armi; dal 1943 al 1945 la maggioranza degli stati del mondo si coalizzarono contro il potere del Reich guidato da Adolf Hitler che fu stato promotore attraverso il suo partito del Nazionalsocialismo di una orribile ideologia razziale legata al suprematismo di un gruppo etnico (i cosiddetti ariani) sugli altri; la ideologia è detta “nazismo” e fu attuata socialmente in primo luogo con discriminazioni, persecuzioni e ghettizzazione e con distruzione di centri di cultura e di biblioteche, in secondo luogo con imprigionamenti, esecuzioni capitali sommarie, deportazioni massicce in campi di concentramento (Lager) e con lo sterminio in camere a gas e forni crematori sia di quanti tra la popolazione adulta e non adulta fossero non-ariani, sia di chiunque fosse dissidente rispetto alla teoria nazista stessa, codificata in leggi razziali poi applicate in modo mostruoso e estremo.

Nel seguito inquadro e metto a fuoco il discorso sulla Letteratura e sulla realtà, concentrandomi su Heinrich Böll, quindi su Dov’eri, Adamo? e in particolare sulla critica legata ai Lager Diskurs con forti riferimenti anche a Primo Levi prigioniero di Aushwitz e al suo testo Se questo è un uomo, poi non ultimo al testo Der SS Staat (Lo stato delle SS) di Eugen Kogon prigioniero a Buchenwald.

Heinrich Böll ha modo di approfondire sul delicato ruolo di raccontare la guerra e il ritorno a casa e specialmente porta avanti una parte di questa prosa che a buon diritto è chiamata  Bekenntnis zur Trümmerliteratur (Letteratura delle macerie); il buon occhio (che appartiene agli strumenti dello scrittore) è per così dire al centro del foglio bianco, in altre parole quello che preme sottolineare a Heinrich Böll relativamente a questa questione è che gli scrittori delle macerie hanno raccontato quello che hanno visto durante la guerra e quello che hanno visto una volta deposte le armi, durante il ritorno a casa, ossia macerie dato che…hanno visto macerie. 

Letteratura di guerra, del ritorno a casa e delle macerie sono le tre designazioni con cui si fa riferimento parlando della Letteratura per così dire “giovane” rispetto alla seconda mondiale, ovvero quella scritta dai reduci e dai sopravvissuti a ridosso della fine del conflitto e a cui tra tutte veniva attribuita una responsabilità, come racconta l’autore tedesco premio Nobel per la Letteratura nel 1972, non tanto la  responsabilità del fatto che la guerra era capitata, né che tutto era in rovina, piuttosto agli autori rimproveravano chiaramente il fatto di averla vista da vicino e poi che continuavano a vederla.

Ma d’altra parte gli scrittori non avevano bende davanti agli occhi e così come l’hanno vista, ne hanno raccontato e così come sono stati testimoni dell’inasprirsi dell’odio e della follia di quel periodo pre-bellico, hanno continuato a percepire e a scorgere segni di quel modo di vedere le cose non del tutto spento e a metterci in guardia da quello a cui avrebbe potuto portare, come se fossero dei robotici viaggiatori del tempo, venuti nel presente per cercare di evitare di commettere dei madornali errori; loro che hanno attraversato il passato che non c’è più, riuscivano a farlo vedere il futuro o meglio a mostrare il passato di nuovo nel presente.

A latere parlando di macerie bisogna ricordare Walter Benjamin, filosofo morto a quanto pare suicida nel 1940 con l’intento di sfuggire alla cattura nazista; infatti il riferimento alle macerie di cui Heinrich Böll scrive nel breve saggio del 1952 Bekenntnis zur Trümmerliteratur lo richiama in qualche modo.

Le macerie è un’immagine presente anche nel testo benjaminiano Tesi di filosofia della storia; tra queste tesi forse la più nota è dedicata a un approfondimento sulla figura dell’Angelus Novus risultato di una sua interpretazione scritta di un noto quadro di Paul Klee; in breve le macerie della storia restano mute dinanzi alla nostra interrogazione, non trovano giustificazione, né acquisiscono dignità per nessun motivo, tuttavia possibilmente, ammonisce anche il filosofo tedesco, resti su di esse il nostro sguardo, per non dimenticare.  

L’angelo di Paul Klee, il dipinto su cui si posa la riflessione del filosofo tedesco Walter Benjamin guarda angosciato il passato, mentre il vento, metaforicamente il tempo, lo spinge via; lui vorrebbe rimanere insieme con quelle vittime per tenerle strette a sé, per garantire ad esse un significato di qualche tipo, ma non può. 

Si sottolinea il fatto che il presente è per Walter Benjamin l’altra faccia del passato, ovvero è il presente stesso che produce il passato.

Per il filosofo tedesco il presente genera dal suo interno il proprio passato; il passato non può sussistere indipendentemente da un presente che lo testimonia e lo redime.

Questo è tanto scandalosamente ovvio, a ben pensarci, tanto quanto rivoluzionario. 

 Walter Bendix Schöenflies Benjamin (Berlino, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940) è stato un filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco, i suoi contributi filosofici in particolare sul materialismo storico sono di estrema rilevanza per la filosofia contemporanea, per altro il tratto caratteristico della sua produzione filosofica è il frammento;

Non è forse vero che siamo soliti al contrario concepire il presente come la risultante del flusso di eventi che proviene dal passato? E non è forse vero che poco fa mi è parso che quegli scrittori delle macerie, parlino a noi eppure ai lor stretti contemporanei e alla generazione subito successiva, come parlerebbero degli uomini venuti dal futuro?.

E non è forse vero che anche a Primo Levi altro grande e primo scrittore dei campi, come lui stesso racconta nella appendice di Se questo è un uomo, venivano costantemente rivolte domande piene di incredulità sui fatti accaduti dentro alla guerra?.

E che lui stesso si è prodigato nello spiegare e raccontare le machiavelliche e lucidamente folli dinamiche della Shoah che hanno portato alle camere a gas e allo sterminio coatto di milioni di persone?.

Non è forse vero che quello che è successo una volta può succedere, ahinoi, una seconda, in assenza di un costante impegno per evitare che le cose si ripetano? .

La pace dura tanto quanto dura il ricordo della sofferenza e della miseria e del dolore e della brutalità e della perdita di ogni senso umano, la pace è come luce delle stelle, è memoria e purtroppo bisogna cercarla dentro un cielo buio.

Questo cielo buio ve lo mostro io oggi, esso è un uomo, egli è Heinrich Böll, ma lasciatemi procedere per filo e per segno.

Svolgimento

Lagerdiskurs

Con il termine Lagerdiskurs (o Lager Diskurs) generalmente si intende il novero di testi che hanno l’esperienza concentrazionaria come campo d’indagine.

La questione della Letteratura dopo Auschwitz, è emersa nel corso della seconda metà dello scorso secolo, in vari modi; come spesso succede quando si tratta di primati, tutte le nazioni cercano di dimostrare il proprio merito, tuttavia il primo tentativo narrativo apparse in Francia, nel 1947 dove Robert Antelme pubblica La specie umana (L’espèce humaine), poi Jean Cayrol Il ritorno di Lazzaro (Lazare parmi nous) nel 1950, da cui talvolta si parla di letteratura “lazaréene”, alternativamente alla locuzione Lager Diskurs.

A margine Se questo è un uomo di Primo Levi è stato scritto nel 1947, ma recepito e pubblicato (da Einaudi) solo nel 1958.  

I narratori che si cimentano con il racconto dei campi di concentramento e di sterminio, si trovano nella delicata condizione di scrivere di una esperienza tanto orribile quanto indicibile, in una parola “estrema”, ai confini dell’accettabile mentalmente e per di più intrisa dell’assurdità della guerra.

L’interno del Lager, poi le guardie armate, le uccisioni di massa, le schedature, l’urgenza incomprensibile degli ordini, la brutalità bestiale, sono di solito raccontate attraverso il “filtro del dopo”; è il sopravvissuto a parlarne.

In quanto superstite la trasposizione narrativa del terribile e crudo ricordo avviene dunque in veste di memoria dell’accaduto

Ma Heinrich Böll dà un contributo tanto significativo quanto geniale e perciò si può affermare che egli anticipa da un punto di vista cronologico, tanta parte di letteratura e altra produzione sui campi. 

Heinrich Theodor Böll (Colonia, 21 dicembre 1917 – Bornheim, 16 luglio 1985) è stato uno scrittore tedesco.

Considerato uno dei massimi esponenti della letteratura tedesca del secondo dopoguerra, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1972

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Il suo libro Dov’eri, Adamo? (Wo warst du, Adam?) è del 1951 a cavallo tra quello che nel seguito chiamo il suo primo periodo creativo e il secondo, o meglio al culmine del primo periodo. 

Nel testo Dov’eri, Adamo?, per la prima volta, il filtro viene dato dall’angolatura esterna: il campo è descritto dal punto di vista del comandante, i personaggi protagonisti del testo dalla trama non lineare, sono sia i prigionieri sia i carnefici, esistenze che peraltro a volte sono in una certa misura unite, in una sola figura, ovvero a volte anche i prigionieri si comportano come oppressori sugli altri prigionieri, altre volte invece il prigioniero diventa figura brevemente salvifica per un altro, in un alternarsi umano di luci e ombre su chi è accomunato dall’essere in una condizione brutale e distorta, continuamente sull’orlo del rischio di “diventare come loro”.

Lo stesso alternarsi di luce e ombra, di possibilità di fidarsi di un vicino e opportunità di tenere la bocca chiusa nel Lager è raccontata similmente anche da Primo Levi nel suo testo intitolato I Sommersi E I Salvati ed emerge chiaramente con la metafora deicerchi concentrici“.

La finzione è un termine che fa rabbrividire applicato alla letteratura di guerra, ma è pur vero che la finzione letteraria come quella che si può riscontrare ragionando sui fondamenti del romanzo storico, è di un’importanza vitale per non appiattire situazioni complesse a cliché narrativi, pluralità di punti di vista a unica visione, e si configurano negli stessi elementi che da un lato ancorano, dall’altro escludono Dov’eri, Adamo? alternativamente sia dal romanzo storico che dal Lager Diskurs.

Leggere e approfondire da un punto di vista narrativo è un fatto, domandarsi ulteriormente su quello che si legge è un altro fatto ed è altrettanto importante, proprio per limitare gli errori di anacronismo e per colmare le mancanze da un punto di vista conoscitivo su un piano culturale.

Strategie orribili e ignoranza

Tra le tante cose uno si può domandare:.

  1. Perché i prigionieri non si ribellassero, appena usciti dai’ treni, ma attendevano per ore, talvolta per giorni di entrare nelle camere a gas; poi tra le molte domande,
  2. Che cosa sapevano i tedeschi dei campi di concentramento?.

Entrambe le domande portano con sé una quantità di orrore intrinseco insieme a un discorso sull’ignoranza e sulle strategie.

Primo Levi spiega che nella maggior parte dei casi, quelli scesi dal treno di deportazione, i “nuovi arrivi”, non sapevano a cosa andavano incontro; usciti dai vagoni sigillati in cui erano stati crudelmente stipati per cinque o dieci giorni di viaggio, venivano accolti con fredda efficienza, ma senza brutalità, invitati a spogliarsi “per la doccia”, talvolta veniva loro dato un asciugamano e sapone e promesso un caffè caldo dopo il bagno.

La stessa cosa sulle docce e la promessa della bevanda ristorante viene raccontata anche da Heinrich Böll al capitolo settimo di Dov’eri, Adamo?.

Le camere a gas infatti erano camuffate come sale di docce, con tubazioni, rubinetti, spogliatoi, attaccapanni, panchine eccetera.

Quando i prigionieri davano il più piccolo segno di sapere a cosa andavano incontro o anche solo sospettare il loro destino imminente, le SS e i loro collaboratori agivano di sorpresa, intervenendo con estrema brutalità, con urla, minacce, calci, spari, e aizzando i loro cani addestrati a sbranare uomini contro quella povera gente perplessa e disperata.  

 Primo Levi fa notare che l’affermazione secondo la quale gli ebrei non si siano ribellati per codardia è sia assurda sia offensiva; nessuno si ribellava.

Le camere a gas di Auschwitz furono crudelmente collaudate su un gruppo di trecento prigionieri di guerra russi, giovani, allenati militarmente, politicamente preparati e non impediti dalla presenza di donne e bambini; e neppure loro si ribellarono. 

Inoltre è bene notare che la coscienza radicata che all’oppressione non si deve acconsentire, bensì resistere, non era molto diffusa nell’Europa fascista, ed era particolarmente debole in Italia.

Era patrimonio di una cerchia ristretta di uomini politicamente attivi, ma il fascismo e il nazismo li avevano isolati, espulsi, terrorizzati o addirittura distrutti: non bisogna dimenticare che le prime vittime dei Lager tedeschi, in numero di centinaia di migliaia, furono appunto i quadri dei partiti politici antinazisti.

Dunque rimproverare ai prigionieri la mancata ribellione rappresenta oltre a un errore di prospettiva storica, significa pretendere da loro una coscienza politica che poi è diventata patrimonio comune pressoché, ma allora apparteneva solo a una élite colta.

Venendo alla seconda questione introdotta in questo paragrafo intitolato Strategie orribili e ignoranza, ovvero che cosa sapevano i tedeschi dei campi di concentramento, Primo Levi afferma che la maggior parte dei tedeschi non sapevano perché non volevano sapere nonostante le varie possibilità di informazione.

Era un modo quello che passava attraverso al tapparsi gli occhi e le orecchie per costruirsi l’illusione di non essere a conoscenza e quindi di non essere complice di quanto avveniva di fronte a casa propria, in altre parole il cittadino tedesco difendeva la sua ignoranza che gli appariva una giustificazione sufficiente della sua adesione al nazismo. 

Non c’era nemmeno un tedesco che non sapesse dell’esistenza dei campi o li ritenesse dei sanatori.

Der SS Staat (Lo stato delle SS) di Eugen Kogon

Eugen Kogon (2 febbraio 1903 – 24 dicembre 1987) Storico cristiano, fervente oppositore del partito nazista, per cui fu arrestato varie volte prima dell’internamento nel lager di Buchenwald, dove sopravvisse alla prigionia per sei anni.

Nel libro citato da Primo Levi e intitolato Der SS Staat (Lo stato delle SS) di Eugen Kogon prigioniero a Buchenwald si trova una trattazione di questa questione, egli scrive che non c’era nemmeno un tedesco che non sapesse dell’esistenza dei campi o li ritenesse dei sanatori, tutti i tedeschi erano stati testimoni della multiforme barbarie antisemitica, come ad esempio all’incendio delle sinagoghe, molti avevano saputo qualcosa dalle radio straniere e parecchi erano venuti a contatto con prigionieri che lavoravano all’esterno dei Lager.

A non pochi era accaduto di incontrare per le strade e nelle stazioni ferroviarie schiere miserabili di detenuti e già nel 1941 era noto che un numero non trascurabile di prigionieri durante i trasferimenti a piedi, per esempio dalla stazione al campo, cadevano per via, morti o svenuti per esaurimento, così come neppure un tedesco ignorava che le prigioni erano strapiene e che di continuo avvenivano esecuzioni capitali; inoltre molti uomini d’affari avevano se così si possono chiamare, rapporti di fornitura con le SS, essi attraverso gli uffici di amministrazione ed economici delle SS porgevano domanda di manodopera schiava.

Inoltre vari professori universitari collaboravano con i cosiddetti centri di ricerca istituiti da Himmler e vari medici dello Stato e di istituti privati lavoravano per loro e si prestavano alle nefandezze, per non parlare dei membri dell’aviazione militare che erano trasferiti alle dipendenze delle SS e dovevano pur essere al corrente.

Altresì è vero che con piccoli trucchi, eufemismi, come ad esempio l’uso nel linguaggio ufficiale della locuzione soluzione definitiva al posto della parola sterminio, e per ulteriori esempi era d’uso la parola trasferimento al posto di deportazione, poi non si scriveva uccisione col gas, ma trattamento speciale, insomma con vari nascondimenti studiati per non compromettere la fede cieca del popolo e il morale delle truppe combattenti, riuscivano nel nascondere o meglio camuffare la verità, con quello che potrei chiamare “un gioco di specchi”, inoltre è altresì vero che in una certa misura gli orrori, per la loro stessa enormità, non furono generalmente creduti quando descritti alla radio degli Alleati

Heinrich Böll

 “Abbiamo perso Heinrich Böll, ma in compenso abbiamo Amnesty e Greenpeace”

Hans Magnus Enzensberger nel 1987

Hans Magnus Enzensberger (Kaufbeuren, 11 novembre 1929) è uno scrittore, poeta, traduttore ed editore tedesco.

Ha scritto anche sotto lo pseudonimo di Andreas Thalmayr e Linda Quilt; vive a Monaco;

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Tenendo bene a mente che bisogna cercare, studiando un autore, di non incorrere in errori di anacronismo, si propone di seguito più che di Heinrich Böll di parlare a buon diritto di che cosa resta oggi di Heinrich Böll.

Hans Magnus Enzensberger nel 1987, già oltre trent’anni fa, due anni dopo aver ricevuto il prestigioso premio della città di Colonia, intitolato proprio a Heinrich Böll, dichiarò in un’intervista, “Abbiamo perso Heinrich Böll, ma in compenso abbiamo Amnesty e Greenpeace”, a significare che molte delle istanze socio politiche di cui Heinrich Böll si era fatto portavoce con saggi e pamphlet divennero tratto identitario addirittura di istituzioni non-governative apposite, deprivando lui (o chi per lui ) di una funzione nient’affatto secondaria.  

La mole di Heinrich Böll è davvero considerevole, non solo come scrittore, ma come pubblicista nell’ottica dell’impegno nel dare un’opinione su tutto; valga come cifra la parte dei Meridiani a lui dedicata, due Meridiani per un totale di tremila pagine di cui settecento solo per l’attività pubblicistico-saggistica.

I Meridiani è una collana editoriale italiana fondata nel settembre 1969 da Vittorio Sereni per Arnoldo Mondadori per proporre un panorama di classici sempre contemporanei.

Partendo da un tentativo di periodizzazione è possibile suddividere l’opera di Heinrich Böll in quattro fasi; la prima va dall’immediato dopoguerra alla prima metà degli anni Cinquanta, è contrassegnata da una vasta produzione di short stories, dal lento e tutt’altro che semplice tentativo di sfondare nell’appena rinato mercato occidentale tedesco che vorrebbe un tono più allegro e ottimista e tinte più chiare rispetto ai cupi racconti di Heinrich Böll.

Solo una piccola parte di quello che scrive riesce a trovare una collocazione presso editori e giornali, Heinrich Böll scrive di guerra, macerie e reduci e dunque la cupezza degli argomenti trattati non è quello che il mercato editoriale cerca.

Di questo periodo la stesura dei suoi due primi romanzi, entrambi ambientati in larga parte nel periodo bellico, L’angelo tacque (Der Engel schwieg) e Croce senza amore (Kreuz ohne Liebe) all’epoca criticati negativamente per pecche stilistiche e ingenuità formali.

L’autore non si scoraggia e riesce a trovare un editore nella cittadina renana di Opladen, pubblica dunque sia il racconto lungo Il treno era in orario (Der Zug war püktlich) e la raccolta di racconti brevi con il titolo Viandante se giungi a Spa… (Wanderer, kommst du nach Spa…). 

Nel 1951 pubblica il suo Dov’eri, Adamo? (Wo warst du, Adam?) e nello stesso anno con Die schwarzen Schafe (testo edito in lingua italiana con il titolo La pecora nera , erroneamente al singolare) si aggiudica il neocostituito premio del Gruppo 47, dopo essersi fatto introdurre alla loro riunione annuale per mezzo dell’amico Bad Dürkheim

Böll Heinrich, Dov’eri, Adamo?, col titolo originale Wo warst du, Adam?, collana Oscar moderni cult, Mondadori Libri, Cles (TN), 2021.

Con questo premio entra tra i nomi della neonata letteratura tedesca occidentale e può così dedicarsi all’attività di scrittore a tempo pieno, infatti prende accordo con l’editore di Colonia Kiepenheur&Witsch che dal 1953 pubblicherà tutte le sue opere.

Con il 1953 consideriamo l’aprirsi della seconda fase creativa di  Heinrich Böll, un decennio in cui pubblica quattro romanzi, due racconti lunghi e altro; in questa fase della sua carriera la sua fama si consolida, a tal punto da renderlo in Germania e all’estero il più noto prosatore contemporaneo di lingua tedesca. 

Non a caso nella seconda settimana di dicembre del 1961 gli viene dedicata la copertina del Der Spiegel; il settimanale uscito per la prima volta ad Hannover nel 1947, è la rivista tedesca con il primato della maggior tiratura, attualmente pubblicato ad Amburgo, con una mole media settimanale di un milione di copie.

Tra i testi della cosiddetta seconda fase creativa annoveriamo, tralasciando tra l’altro un paio di scritture per il teatro, Casa senza custode (Haus ohne Hütter); Il pane dei verdi anni (Das Brot der frühen Jahre); Diario d’Irlanda (Irisches Tagebuch); La raccolta di silenzi del dottor Murke (Doctor Murkes gesammeltes Schweigen);  Biliardo alle nove e mezzo (Billard um halb zehn); Opinioni di un clown (Ansichten eines Clowns)

A parte il libro sulla sua seconda patria, l’Irlanda, le opere di questo periodo sono tese a evidenziare le contraddizioni della nascente società dello spettacolo e specialmente le perversioni del cosiddetto miracolo economico e della mercificazione dei beni di consumo. 

Da notarsi la serie di lettere scritte tra il 1962 e il 1963, anno quest’ultimo in cui capitoliamo poi un’ulteriore fase nell’ottica della periodizzazione degli scritti di Heinrich Böll; la serie di lettere 1962-1963 è edita all’epoca dal settimanale tedesco Die Zeit sotto lo pseudonimo “Lohengrin”. 

Le lettere sono accomunate dall’intento satirico verso l’autoreferenzialità della politica; la satira di Heinrich Böll in questo caso arriva talvolta all’uso del paradosso per esprimersi con maggior efficacia. 

Sotto la sua lente, la progressiva degenerazione della politica tedesca che rende sempre più difficile trovare spazi di manovra per un’azione di opposizione o anche solo di dissenso.

Per approfondire vedere sulla Grande Coalizione a partire dal 1967 e a proposito dei Notstandsgesetze, le cosiddette leggi speciali di emergenza che limitano la libertà di opinione, di stampa e altro.

La terza, per così dire, fase creativa di Heinrich Böll è segnata proprio dal suo ingresso sempre più marcato nella sfera pubblica. 

Seppur è già dal 1956 che lo scrittore ha preso a intervenire spesso e volentieri in questioni concernenti le cose pubbliche, e con la serie di lettere sotto pseudonimo sopracitata ha iniziato a pubblicare quello che potrei chiamare il suo osservatorio di pensatore imparziale, è dal 1963 in poi che la sua presenza diventa omnicomprensiva. 

In questo periodo, per la precisione nel 1972 arriva il premio Nobel per la Letteratura. 

Il 1972 è un anno che potremmo considerare di svolta per Heinrich Böll, infatti fino al 1972 resta il più possibile imparziale rispetto alla politica e sarà solo a quel tempo che si schiera a favore di un partito, sebbene già nell’anno precedente, il 1971, ha di fatto appoggiato la Ostpolitik di Brandt, è diventato il presidente del Pen internazionale e ha ospitato nella sua casa di campagna, vicino a Colonia, famosi “dissidenti” sovietici.

In questa fase cova la fase successiva, la quarta; ancora a proposito del 1972, nel gennaio, un fatto che poi lo porterà a scrivere L’onore perduto di Katharina Blum, ossia la perquisizione della casa del figlio, a seguito delle accuse di terrorismo rivoltegli dopo la pubblicazione sul Der Spiegel di Ulrike Meinhof chiede la grazia o un salvacondotto? (Ulrike Meinhof Gnade oder freies Geleit?) un coraggioso intervento con cui si schiera veementemente contro il clima di caccia alle streghe e di escalation prodotto in particolare dal gruppo editoriale Springer, una tra tutti la Bild Zeitung. 

Ne seguirono accuse, minacce a suo danno e a quello dei suoi familiari, in buona sostanza  Heinrich Böll viene definito come simpatizzante dei terroristi e, per colmo di follia, come sopra accennato, la casa del figlio Raimund viene sottoposta a perquisizione; sono gli anni caldi delle leggi speciali e del terrorismo RAF e la sua lettera aperta a Ulrike Marie Meinhof e all’intero paese, in una cassa di risonanza tale quale lo Spiegel, produce un vero e proprio “effetto bomba”.

Ulrike Marie Meinhof è stata una giornalista, terrorista e rivoluzionaria tedesca, co-fondatrice del gruppo armato tedesco-occidentale di estrema sinistra Rote Armee Fraktion, meglio noto come RAF e conosciuto dalla stampa anche come Banda Baader-Meinhof.

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Nel quarto periodo della sua carriera, inaugurato proprio dal testo a carattere docu-fiction L’onore perduto di Katharina Blum (Die verlorene Ehre der Katharina Blum) del 1974, Heinrich Böll si produce nel tentativo di evitare il riarmo; a fianco dei movimenti per la pace e del neonato partito ambientalista, cerca di evidenziare le nuove orribili tendenze della politica e della società tecnologica, ovvero la corruzione e la mania del controllo capillare. 

Ulteriori testi di questo periodo sono Assedio preventivo (Fürsorgliche Belagerung) del 1979 e dello stesso anno la raccolta di racconti Vai troppo spesso a Heidelberg (Du fährst zu oft nach Heidelberg), uno scritto a carattere autobiografico del 1981, poi postumo nello stesso anno della morte (1985) Donne con paesaggio fluviale (Frauen vor Fluβlandschaft).

Dov’eri, Adamo?

L’importanza del lavoro narrativo di Heinrich Böll è la mediazione tra la realtà e la sua banalizzazione, ad esempio parafrasando vediamo tra i molti notevoli almeno un passo del libro intitolato Dov’eri, Adamo?. 

In un assioma consolidato la musica nei Lager è un mezzo che, per il fatto che è presente, porterebbe, secondo un banale bias cognitivo, a umanizzare la figura del nazista; tuttavia Heinrich Böll riesce nell’azzardo di capovolgere l’assioma tradizionale e mostra l’orripilante perversione dell’arte attuata dal nazismo.

Nel settimo capitolo di Dov’eri, Adamo? il premio Nobel focalizza su un personaggio, il comandante di compagnia ss Filskeit, un tipo di altezza media e capelli neri, la cui vera passione è la musica e la sua specialità è il canto corale a cui si era avvicinato quando ancora militava nella Gioventù hitleriana, scoprendo il coro misto come sua vera passione, e perciò all’epoca, quando era nella sua stanza presso la città di Düsseldorf, si dedicava agli scritti sul canto corale e a tutti i testi sulla filosofia della razza che riusciva a procurarsi, scrivendo come risultato del suo lungo, cieco e approfondito studio, un articolo che intitolò Correlazioni tra coro e razza.

Scritto che, nel racconto sottile di Heinrich Böll, in prima battuta non riceve il successo sperato.

Riassumendo ulteriormente e interpretando, esso era infatti stato inviato a un conservatorio statale in cui quella che potrei chiamare la lunga mano della Shoah non aveva ancora agito rimuovendo dall’incarico il direttore non allineato alle teorie razziali, un tale di nome Neumann.

Il personaggio Filskeit mostra poi tutta la sua lucida crudeltà una volta affiancato dalla penna dell’autore a una corista, una prigioniera di nome Ilona e specialmente di fronte alla salda fede di questa donna.

Ilona è, come descritta dall’autore, una ebrea bionda, alta e magra che avrebbe fatto una gran bella figura in qualunque libro illustrato sulla “razza” nordica.

Prima della fine dello stesso capitolo, Filskeit uccide la bella cantante, prima sparandole addosso alla cieca poi scaricando su di lei l’intero caricatore.

Non che si possa trovare una spiegazione per un fatto tanto grave come un omicidio efferato, però possiamo provare a comprendere quanto è narrato, la paranoia, la follia e la paura di fronte allo sguardo di Ilona, di fronte alla dissonanza tra caratteristiche fisiche e fede, in pieno contrasto con l’indottrinamento antisemita, poi la paura e la rabbia di fronte a una donna che ha Dio.

Antisemitismo storicamente

Ho scritto questa appendice nel 1976 per l’edizione scolastica di Se questo è un uomo, per rispondere alle domande che costantemente mi vengono rivolte dai lettori studenti.

Tuttavia poiché esse coincidono ampiamente con le domande che ricevo dai lettori adulti, mi è sembrato opportuno riportare integralmente le mie risposte anche su questa edizione.

Primo Levi

Primo Levi scrive una interessante appendice per l’edizione scolastica del 1976 a Se questo è un uomo; in questo testo l’autore risponde a una serie di domande a cui seguono le relative risposte personali.

Una di queste interrogazioni in veste tipografica che lo scrittore sopravvissuto all’internamento nel Lager ad Auschwitz rivolge a sé stesso è riportata di seguito: “Come spiega l’odio fanatico dei nazisti contro gli ebrei?”.

Segue la relativa risposta di cui si preferisce citare la parte iniziale in modo testuale, considerando l’efficace sintesi non parafrasabile più brevemente e richiedendo altresì una parafrasi interpretativa forse eccessiva:.

L’ avversione contro gli ebrei, impropriamente detta antisemitismo, è un caso particolare di un fenomeno più vasto, e cioè dell’avversione di chi è diverso da noi.

È indubbio che si tratti in origine di un fatto zoologico: gli animali di una stessa specie, ma appartenenti a gruppi diversi manifestano fenomeni di intolleranza”. 

Questo avviene anche tra gli animali domestici, l’esempio del pollaio che segue nel testo leviano è molto chiaro e riguarda il fatto che, come è noto, introducendo un elemento nuovo in un contesto, vi è un fenomeno di rifiuto che può durare anche per parecchi giorni da parte degli appartenenti al gruppo originario verso il nuovo membro.

Lo stesso si può dire avvenga tra i roditori e tra impollinatori, e in genere in tutte le specie di animali sociali.

Vero che l’uomo è  un animale sociale, ma non tutte le spinte di tipo istintivo, si potrebbe dire zoologico, è bene che siano portate avanti nella società umana, infatti le leggi come prodotto del Diritto servono appunto  questo scopo, ovvero a limitare gli istinti animaleschi.

“L’antisemitismo è un tipico fenomeno di intolleranza; perché una intolleranza insorga, occorre che fra i due gruppi a contatto esista una differenza percettibile”.

La differenza di cui parla Primo Levi può essere di tipo fisico (legata a connotati somatici e a fototipo), ma anche di tipo culturale come ad esempio linguistica, dialettale, o di accento, come non ricordare le discriminazioni verso i meridionali emigrati in nord Italia?, possono poi essere legate al culto religioso, che comporta diverse manifestazioni esteriori e talvolta importanti indicazioni etiche e pragmatiche.

Le vicende tormentate della storia del popolo ebreo hanno comportato il fatto che gli ebrei manifestassero le differenze fin qui annoverate rispetto ad altri gruppi.

La risposta di Primo Levi alla domanda sopra citata che è una delle domande che gli venivano rivolte costantemente dai lettori sia studenti sia adulti racconta approfonditamente a proposito della storia del popolo ebreo.

In una contestualizzazione estremamente generalizzata (Primo Levi scrive: “Nell’intrico, estremamente complesso, dei popoli e delle nazioni”) si nota la permanenza di un tratto fondamentale, ovvero il legame interno molto forte di natura religiosa e tradizionale che sopravvisse a dispetto delle dispersioni, delle sconfitte, delle deportazioni e della esiguità del numero degli appartenenti.

La risposta continua con ulteriori interessanti specificazioni varie; la domanda e la risposta di Primo Levi costituiscono un punto di vista sui fatti svoltisi durante la Seconda Guerra Mondiale, a Primo Levi viene chiesto di spiegare, ovvero di fornire una ragione sull’odio fanatico dei nazisti contro gli ebrei, un preciso sentimento che anche Heinrich Böll narra nel testo del 1951, ossia Dov’eri, Adamo?.

Fornire una ragione?

Fornire una ragione talvolta significa spiegare qual’è stato il processo mentale, la concatenazione di idee che ha portato al tal risultato, in altri casi è come dire che uno avrebbe potuto procedere in un dato modo piuttosto che in un altro, insomma talvolta ciò che diciamo per fornire una ragione assolve la funzione di una giustificazione, non di un resoconto di ciò che è stato fatto, ovvero il processo mentale è realmente avvenuto prima di fare una certa cosa per la quale si sta tentando di dare ragione, tal’altra invece il processo logico è avvenuto solo nel momento di dare una risposta la quale spesso è apodittica e abbastanza convincente.

In generale è possibile descrivere ciò che si vede; poi si presume di poter descrivere persino quella che potremmo chiamare una immagine di sensazioni cinestetiche.

Supponiamo di trasmettere l’impressione ricevuta ascoltando un brano musicale, alcuni ascoltandolo lo afferrano, se ne impadroniscono, ma questo potrebbe significare che essa sarebbe una descrizione se possiamo suonare (agire) in modo corrispondente al brano musicale scelto, così via servendosi di un dipinto per descrivere, l’interazione mostrerebbe di aver funzionato se potessi dipingere in modo simile, e così via scrivere con la stessa penna per un brano letterario, ballare in modo analogo per un ballo, scolpire similmente per una scultura. 

Quando si tratta, come nel caso sopracitato dell’interrogazione di Primo Levi, di una questione sociologica, o meglio di una spiegazione sociologica ad una realtà presentata attraverso testi letterari, l’agire che siamo chiamati a compiere per dimostrare che essa è stata realmente una descrizione efficace, è l’agire colto, l’agire socialmente responsabile, in maniera consona, accorgendosi cioè delle trappole tese dalla diversità e riconducendo esse alle relative e molto più rassicuranti e proficue analogie.

Visione generale e conclusioni

In conclusione riprendiamo le fila della trattazione fin qui svolta, per evidenziare l’essenzialità del legame tra Letteratura e Realtà, specialmente nella letteratura tedesca.

Una domanda serva dunque a introdurre la discussione su un piano conclusivo; ad esempio, Non è forse vero che uno non avendo mai sentito parlare del mare e non avendolo mai visto in foto, non conoscendo storie di pirati né avendo mai visto un’imbarcazione, recandosi un giorno nei pressi di una spiaggia, stando lontano dalla battigia, dietro ad una paratia che gli impedisca la vista dei flutti, ebbene non è forse vero che egli non riconoscerebbe affatto lo sciabordio delle onde e non potrebbe mai dire di essere vicino a bagnarsi i piedi con acqua fredda e salata?.

Allo stesso modo di colui che non conosce il mare, anche l’uomo che non conosce le cose successe con la Shoah, poi la facilità di incorrere in ideologie per avversione al diverso, chi non conoscesse la letteratura dei campi, non riconoscerebbe l’attechirsi di nuovo delle medesime storture di pensiero come non si riconoscono certe erbacce infestanti fino a che non sono diventate abbastanza grandi da necessitare una vanga per estirpare e non si accorgerebbe che la tendenza alla cieca obbedienza per futili fini personali è pervasiva e fortemente pericolosa in quanto lesiva di libertà personale, inoltre non vedrebbe errore nella tendenza alla militarizzazione dei costumi per l’ingannevole e ruffiano amore delle gerarchie che semplificano tutto fino a che non sono diventate più forti di coloro che le indossano. 

Attenzione scalino, dalle parole ai fatti?

Colui che non conosce il Lager diskurs, ovvero la letteratura dei campi, non sapendo che il passaggio dalla predicazione teorica all’attuazione pratica è tutto sommato rapido e sicuramente brutale, per me sarebbe, camminando distratto non si accorga dell’approcciarsi di uno scalino o, con libera metafora, come l’uomo che non conoscendo il mare cammina nei pressi di una spiaggia.

Allora la letteratura e la realtà stanno insieme non solo perché la letteratura si fa portatrice di un racconto reale e perciò sapendo che una è gravida dell’altro noi possiamo al limite scrivere, ma sicuramente studiare più appropiatamente un testo letterario che metta insieme elementi finzionali a fatti storici, ma anche perché essa letteratura sta insieme alla realtà in un legame a doppietto.

Comprendiamo la realtà

Il nostro esame di realtà è rinforzato dalla conoscenza della Storia di cui una parte deriva dalla letteratura, infatti è solo attraverso i testi letterari che possiamo recuperare alcune dinamiche sociali e di pensiero che altrimenti sarebbero appiattite e scomparirebbero invisibili in irrigidimenti semplicistici e banalizzazioni, come abbiamo visto attraverso il fatto che la musica per un bias cognitivo potrebbe portare a umanizzare il carnefice nazista, non prendendo così in minima considerazione la depravazione dell’arte operata all’epoca del terzo Reich e in generale dal nazionalsocialismo (o nazismo).

Creiamo la realtà

Infine attraverso la letteratura in qualche modo creiamo la realtà, infatti essa letteratura contribuisce alla comprensione della Storia, non alla sua giustificazione come spiegazione di un fatto, ma piuttosto come sua conoscenza che permette di agire conseguentemente con sapienza, tutelando in modo consapevole sia il passato che il futuro. 

Articolo in aggiornamento.


di Elettra Nicodemi

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