Arte Contemporanea

Centro Sperimentale Arte Contemporanea, terra di un popolo

Ho intervistato Pier Vittorio Gatti del Centro Sperimentale di Arte Contemporanea e ho creduto di essere finita su un altro pianeta, in un’altra dimensione, in qualcosa di confortevole, di terribilmente reale, dove la delicatezza è il nuovo punto di forza, come non si è mai visto da millenni a questa parte; ci conosciamo da diversi anni, e più che una intervista si è trattata di una chiaccherata, perché lui aveva già le domande, le risposte verranno poi, col tempo.

Scenario, da ieri a oggi

Mi ha fatto un quadro, uno scenario, mi ha detto qualcosa sul tempo passato, è andato di secolo in secolo, è iniziata così, ci siamo detti,

Nel Settecento andavano di moda i salotti, nell’Ottocento i caffè, nel Novecento è stato il turno dei movimenti politici, nel nuovo millennio, …

A questo punto la chiaccherata ha preso un altro passo; qui si inizia a fantasticare di brutto, non che guardando al passato non si usino filtri per capirlo, ma per guardare al futuro o meglio guardando nel presente – il nuovo millennio è nel futuro ma per un pezzettino esiste già, questo è il ventesimo anno del nuovo millennio, è il 2020- dicevo, guardando nel presente, per capire il presente, per capire il nuovo millennio di fantasia ce ne vuole parecchia, è come essere sulla cresta di un’onda altissima alla fine del mare sempre che il mare ne abbia una.

Quindi ci abbiamo dato sotto con le ipotesi, ma come ho già avuto modo di sottolineare, è stato Pier, lui ha la pietra filosofale in tasca, io sono più che altro un mantello dell’invisibilità, ma non copro, mostro, qualcosa che non ho fatto altro che salvare da una certa quantità di annullamento a cui inevitabilmente tutto è sottoposto.

Ci siamo fatti in quattro a pensare qualcosa sulla socializzazione; è stato bello vedere che mentre noi spaccavamo un capello molti altri nel web buttavano fuori le loro idee su come sarà il futuro nel nuovo millennio anche se il loro orizzonte è giustamente molto più limitato temporalmente, infatti si sente parlare più che altro di come sarà il futuro dopo la pandemia anche se io continuo fermamente a credere che sarebbe più razionale parlare del futuro dentro la pandemia, durante la pandemia, perché questa pandemia durerà nel ricordo di ognuno di noi ben oltre la fine.

Perciò continuerà, come ogni cosa che si concretizza, anche dopo la sua morte, anche persino dopo che il suo ricordo ne avrà mutato i tratti, magari solo per ricordare quanto sia stato sciocco non preparare per qualcosa che sarebbe arrivato, fatalmente annunciato o messo in preventivo dalla scienza, dalla conoscenza del passato.

Conoscenza, quella del passato che come minimo alla pari di quella scientifica, può darci informazioni utili sul futuro, sulla destinazione della grande arca che abita il pianeta Terra.

Riflessioni, Animus ebraico

Pier Vittorio ha sempre in serbo spunti di riflessione interessante oltreché percorsi mentali non allineati, così traggo sempre giovamento dalle chiaccherate con lui; trovo sia una persona che è in grado di mostrare faccie nascoste e quindi discorrendo con lui di ragionamenti più o meno complessi si riesce a rendere tridimensionale una conversazione o almeno a appoggiarsi su più piani, il che per me è vitale.

Quindi si riflette su questa protratta quarantena a causa dello stato di pandemia in cui si trova il mondo intero e si arriva a pensare che questa reclusione più o meno forzosa, possa avere tra i risvolti positivi il coltivare quel certo animus ebraico che è in ognuno di noi.

La malattia sociale della persecuzione ha come reazione tra le altre cose anche un fenomeno che è quello dell’animus ebraico appunto, tragico e drammatico e allo stesso tempo pervaso da un filone di allegria e di gioia per la vita.

L’incertezza del vivere che oggi sta alle soglie della cronaca in quanto purtroppo il rischio di ammalarsi di una malattia con molte facce come il Corona Virus, porta con sé una quantità di terrore legata alla vita quotidiana che fino a qualche tempo fa non conoscevamo se non nel ricordo e quindi crediamo che questo sentimento di precarietà e di paura e di lutto possa essere stimolo di creatività oltreché di arricchimento personale attraverso lo studio e la riscoperta di valori di condivisione.

Superamento del ‘900

Scavando nel filone ideologico sopra accennato arriviamo a ipotizzare la possibilità di un superamento della crisi dei valori di cui ci sentiamo vittime in più o meno larga parte nonostante le molte nuove misure che sono prese dalla società, nonostante le conquiste di libertà a cui si è arrivati, sebbene i molti muri che sono stati scavalcati e le troppe rigidità che sono state sottolineate, ancora l’uomo sente nel mondo occidentale una crisi dei valori che io credo sia legata ad una eccessiva mitridizzazione al dolore e alla cattiveria e che dunque si possa recuperare nel pesare con una nuova bilancia i fatti della vita.

Pensiamo, speculando, al fatto che una poesia del 3000 a.C. riesce ancora a parlare alle persone e che quindi in realtà non sia tutto perduto, a parte un ragionamento a sé stante sul valore della poesia come oggetto comunicante che mette insieme la musica alle immagini e lo fa nella testa di ognuno di noi passando dai ricordi e dalle emozioni più profonde e più vecchie che sono in ciascuno di noi; Pier Vittorio Gatti dice che una poesia dà lo stesso meccanismo sinaptico, a uno di un’epoca lontana e a uno del 2020 e questo, dicevo, fa riflettere oltre a dare conforto; si tratta di archetipi e anche in questo caso di luoghi di condivisione, per noi le poesie sono zone di collegamento, così in generale crediamo valga per l’arte.


Il modello campus del Centro Sperimentale

Potrebbe essere – postuliamo sempre riflettendo sul socializzare- che la socializzazione si realizzi in maniera credibile attraverso il modello del campus.

E il campus è proprio quello che Pier Vittorio Gatti sta cercando di fare, di proporre, di rendere possibile con il Centro Sperimentale di Arte Contemporanea.

Parlando in generale, il campus ideale è un luogo di aggregazione contenuto in uno spazio di tempo abbastanza breve, il quale allo stesso tempo deve essere abbastanza lungo da permettere di recidere sia i fili col passato personale sia quelli con il contesto esterno; deve esistere cioè entro uno spazio tempo sussistente, destinato; prima di arrivare al Campus, uno dovrebbe dire, almeno tra sé, Per questo periodo sono fuori.

Così che abbia cura di portarsi tutto quello da cui non può separarsi oppure se uno ha lo spirito della condivisione, portarsi solo il superfluo.

In altri termini, in parole concrete, si tratterebbe di zone di aggrezione in spazi naturali, zone in cui in qualche modo si possa passare da uno stato ad un altro.

Al campus si va dalla concentrazione multimediale a la vita del selvaggio; si dovrebbe poter  decantare fino al contatto interpersonale fisico, in cui interpersonale ha un significato peculiare, cioè un luogo dove sia possibile mantenere i propri confini personali sempre che uno ne abbia bisogno di quei limiti.

Finiamo dunque per credere in una possibilità di aggregazione dove sia realmente possibile stare insieme, ad una distanza di sicurezza oppure in completa condivisone o ancora, alternativamente, nelle due modalità, ma sempre sotto la luce di una buona stella.

La buona stella di ridurre al minimo l’elemento antropico tipico della metropoli.

Si tratta di una realtà ancora sperimentale per il fatto che chi deciderà di partecipare nei nuovi spazi afferenti al Centro per il momento è pioniere, infatti a parte alcune realtà già avviate in Nord America e in Nord Europa o realtà più vicine che però si realizzano in altri termini, non conosciamo nulla che sia già come quello che stiamo ipotizzando nel mentre cerchiamo, cavandolo fuori dalla mente di lui, di Pier, di trarlo alla luce e dargli forma.

A parte tutto il lavoro di progettazione a cui si dedica Pier, c’è un bisogno che va al di là della realizzazione, vogliamo credere in una cosa, siamo convinti che questo “carattere di sperimentalismo”, augurabilmente, rimanga presente così come lo è nell’entità ideale che chiamiamo Campus perché ogni volta l’esperienza sarà per così dire irripetibile, formata da dinamiche irrazionali, parlo delle impercettibili coincidenze e dissonanze della piccola tribù che si costituisce di volta in volta quando si avvia un Campus.

 I campus diventano zone di collegamento

Parliamo, nel mentre ragioniamo su questa faccenda della singolarità dell’esperienza, del fatto che gli artisti a nostro avviso hanno bisogno di ritornare alla natura.

In quanto popolo, gli artisti hanno necessità di un collegamento; c’è bisogno di ragionare sul fattore ambientale, su un luogo eventualmente formato da più luoghi che permetta il collegamento e di nuovo il Campus assurge a realtà convincente, credibile, specialmente perché il campus al Centro Sperimentale, deve essere a contatto con la natura, in un ambiente che permetta di sintonizzarsi con sé stessi e allo stesso tempo con una comunità piccola, ridotta, abbastanza grande da essere plurale, abbastanza piccola da essere una comunità unitaria.

Il fattore ambientale per il collegamento è di importanza fondamentale; pensiamo che l’esperienza di avvicinarsi per mezzo dell’immagine video non ha la caratteristica del rapporto umano, neanche lontanamente.

E anche al fatto che condividendo un certo ambiente, si possano creare esperienze simili e in quanto tali condivisibili, intersecabili, assimilabili; si possa in altri termini dare vita ad un sostrato condivisibile fatto dalle esperienze epifenomeniche degli artisti che diventano finalmente popolo, cosa che sono da sempre in maniera aprioristica, forse per nascita sotto una medesima stella, ma finalmente con una terra comune.

Luoghi diversi, occasioni di civiltà

Le occasioni di civiltà, per così dire di civilizzazione, sono largamente supportate e guidate dagli spazi in cui si verificano, nel senso che a seconda degli oggetti, della distribuzione architettonica, ma in generale degli spazi che vengono fruiti, si hanno diverse occasioni di mobilità, di socializzazione e di rapporto interpersonale; per assurdo vediamo come un gruppo di uomini costretti in spazi angusti avrebbe alcune possibilità di relazionarsi, ben altre un gruppo che possa condividere una casa o un ambiente naturale come ad esempio un parco.

Spazi Naturali e fisicità

Perciò pensiamo che la natura offra particolari occasioni di civiltà e uno degli obiettivi del campus del Centro Sperimentale di Arte Contemporanea è quello di lasciar condividere spazi naturali o più modestamente antropizzati al minimo grado.

L’obiettivo è quello di permettere di rinnovare l’esperienza dell’incontro fisico in un ambiente naturale, il che ha probabilmente un pregio di per sé non banale, quello della fisicità e della naturalezza.

Con gli spazi che il campus propone si viene inseriti in una natura di alta montagna pur essendo a pochi chilometri dal mare grazie alla particolarità paesaggistica tipica del luogo.

Si viene quindi a contatto con una possibilità percettiva legata alla bontà dell’aria, alla tipicità dei colori, alla vicinanza con l’acqua sorgiva e non in ultimo -considerata la natura boschiva, entro cui gli spazi del Centro Sperimentale si trovano- legata ad una vera e propria immersione nel verde.

Una natura insomma che permette uno spettro di percezioni che sono del tutto dimenticate -o quasi del tutto dimenticate- entro gli spazi cittadini metropolitani e che perciò possono donare, oltre a un’esperienza sensoriale del tutto particolare, un agganciarsi alla natura che poi uno resta libero di portarsi dietro come bagaglio anche per il futuro.

Bagaglio culturale per la quotidianità cittadina o silvestre

Ritornando in città si sarà probabilmente portati a ricercare -o meglio a notare- gli spazi naturali e, per esempio nei parchi, sarà possibile ricordare il contatto originario con la natura incontaminata verificatosi nell’ambito del campus del Centro Sperimentale di Arte Contemporanea e divenuto bagaglio di esperienza o confronto.

Diversamente si sarà messi in grado di notarne l’assenza, come uno dei personaggi di Albert Camus che abitano uno dei libri in assoluto più attuali al tempo del Corona Virus, la Peste.

I nuovi Jean Tarrou

Jean Tarrou introdotto subito dopo che la peste diventa abbastanza evidente da non poterla più ignorare è un personaggio di una singolarità del tutto salvifica nell’ordine del racconto: lui tiene taccuini che costituiscono una cronaca di quel periodo difficile, modo che lo scrittore Camus usa per dare al suo lettore un filtro con cui guardare alla vicenda, il filtro della cronaca; attraverso questo personaggio Albert Camus che parla per mezzo del suo narratore esterno, suggerisce -a mio avviso- sia ora di prendere un punto di vista sui fatti e crede che questo punto di vista possa essere quello di uno che si avvicina al racconto dei fatti in maniera già storica; mette letteralmente i lettori nei panni dello storiografo e di uno storiografo particolare, uno che racconta la vicenda a sé, per sé, non in modo universale per i giornali ad esempio; non scrive per compilare un libro sull’argomento, Jean Tarrou è uno che questa cronaca non solo la fa per sé, per amore dei suoi taccuini, ma anche che -come sottolinea il narratore esterno di Camus-, la fa all’insegna di una deliberata scelta di insignificanza, insomma non per consolarsi sugli avvenimenti, ma per lasciarli passare, perché possano scorrere nella sua mente oltre che nella sua penna.

E questo Tarrou, Jean Tarrou, forse nel nome si potrebbe leggere un indizio fonetico, è uno che ama se stesso; un orecchio straniero a ottima pronuncia francese potrebbe intenedere Je aime Tarrou invece di Jean Tarrou e conoscendo Albert, non ci sarebbe da stupirsi che questo gioco di parole nel nome sia intenzionale oltreché estremamente azzeccato, Jean Tarrou, Jean è uno che ama se stesso e uno che ama la sua strada, Je aime ta roue, o meglio la tua strada.

E lui di strada ne fa, girovagando, si potrebbe dire; poi quando arriva a Orrano in Algeria, la città dei leoni, una città semplicemente brutta, dove è bene notare, mancano alberi, il racconto ha una svolta.

Allora chissà che uno, tornando dal campus del Centro Sperimentale, non noti qualche assenza attorno a sé, chissà che non senta la mancanza della natura uscendo di casa o che non dia una svolta al racconto della sua vita.

Artisti non-metropolitani

Per gli artisti che vengono già da un ambiente legato alla natura invece, sappiamo infatti che sono molti tra il popolo degli artisti a soffrire eccessivamente gli spazi cittadini e ad avere una connessione privilegiata con la natura- per tutti coloro dunque che vivono già immersi nella natura, pensiamo che un paragone tra la specificità della loro casa e quella del Centro Sperimentale possa essere un buon bacino di ispirazione e riflessione; qua troveranno qualcosa della loro casa, là troveranno qualcosa che hanno scoperto durante il campus.

Non in ultimo il rapporto con la fauna selvatica potrebbe essere occasione di recupero della propria emotività e del proprio corpo, un momento importante che è legato alla natura selvaggia, all’istinto dunque.

Dinamiche di solitudine e di aggregazione

Uno dei punti saldi di questa progettazione che in qualche modo cerchiamo di rendere comprensibile e allo stesso tempo attuabile, si basa su una forte riflessione intorno al tema dell’ospitalità; per il Centro Sperimentale di Arte Contemporanea si deve portare avanti un discorso di fluidità e leggerezza dell’ospitare, in modo tale da permettere la libertà dei contatti interpersonali e così da realizzare una dicotomia, legata da un lato alla aggregazione, dall’altro alla solitudine.

Il campus in concreto

Si teorizzano piazzole per il campeggio distanti una dall’altra almeno cinquanta metri e poi un fulcro di aggregazione, un centro legato ad un edificio.

Una struttura apprezzabile in maniera autonoma, originariamente connessa al periodo che va tra la fine ‘800 e l’inizio del ‘900 e che al di là del suo valore in sé e della sua godibilità, può permettere una connessione all’elemento valoriale che gli edifici portano con loro.

Pensiamo ad esempio all’elemento di sacralità intorno agli edifici che sono stati luoghi di lavoro, così come possiamo riferirci a luoghi di culto molto spesso investiti della caratteristica del divino per anticipare l’incanto della struttura architettonica pronta ad accogliere chiunque abbia il piacere di avvicinarsi.

Lo proponiamo dunque in una certa ottica questo edificio fulcro del campus del Centro Sperimentale di Arte Contemporanea, pensando cioè alla ulteriore possibilità di sviluppo di valori nuovi legati alla condivisione di un luogo da parte del popolo degli artisti.

Il popolo degli artisti

Il popolo degli artisti è una cosa che può sembrare altisonante qualora la si lasci vibrare nell’aria come una corda tesa nel vuoto, ma che forse può dare una musica intonata apponendovi una giusta cassa di risonanza, di cui magari approfondiremo più oltre, ma che senza dubbio è legata al ritorno della morte, al superamento della crisi epocale del ‘900 e a un sistema evolutivo che possa portarci ad un superamento della contemporaneità avulsa dalla storicità e dunque a qualcosa di buono, di profondamente umano.


Storico e iniziative del Centro Sperimentale

Sono molte le iniziative e i progetti realizzati in passato, approfondiremo in questo stesso articolo non appena sarà possibile accedere all’archivio del Centro, al momento inagibile per una questione logistica legata al severo rispetto delle restrizioni imposte; il consiglio è dunque quello di salvare tra i preferiti questo post e ricaricarlo nel prossimo futuro per maggiori informazioni e per aggiornarsi sulle novità, infatti è in corso il contest per bambini dal titolo Il mare nell’immaginario infantile: un’avventura nella mia barca.

Concorso “Il mare nell’immaginario infantile: un’avventura nella mia barca”

Il Centro sperimentale per l’arte contemporanea sta realizzando, in collaborazione con Liguria Nautica, un concorso rivolto ai bambini, per indagare sul tema dell’immaginario intorno al mare.

L’immaginario infantile è fonte di grande curiosità, e il divertimento dei bambini in questo periodo di lockdown cosa di grande importanza, da qui l’obiettivo di creare un concorso che permetta ai piccoli di esprimere la creatività.

La collaborazione con il Centro Sperimentale e Liguria Nautica hanno pensato questa opportunità di gioco per i bambini sul tema del rapporto con il mare e le imbarcazioni, sia fantastiche che reali.

Senza contare che vedere qual è la rappresentazione del mare nell’immaginario dei bambini sia qualcosa da cui avremmo tutti da imparare probabilmente, probabilmente infatti il mare e le storie di pirati, così come la letteratura di avventura legata al mare sono un grande bacino culturale oltre a essere oggetto di grande fascino a tutte le età.

Giuria del concorso

Anna Steiner e a Franco Origoni architetti e docenti universitari sono in giuria e anch’io partecipo al tavolo insieme a Sabina Airoldi (biologa marina), a Davide Besana (fumettista e velista), a Lena Liv (artista), a Alberto Cavanna (scrittore) e a Maurizio Bulleri (giornalista).

Festa di Premiazione

La premiazione si terrà presso il Parco di Ripa Verde a Fiumaretta località che si trova alla foce del fiume Magra (SP).

Sono invitati tutti gli artisti partecipanti e le loro famiglie; la festa si svolgerà appena possibile, vista la condizione di emergenza sanitaria, nell’ambito del Gran Festival del ritorno al mare.

Sezioni e termini

Il concorso ha due sezioni, una artistica dedicata ai più piccoli e una letteraria per la fascia dì età fino ai dodici anni.

Dagli artisti fino ai 6 anni sono attesi disegni, mentre dai sei ai dodici anni l’invito è quello a realizzare una short story, un racconto insomma.

Le opere sono da consegnarsi entro il 30 maggio 2020.

Gli elaborati saranno tutti pubblicati e sono previsti riconoscimenti per tre disegni e per tre racconti oltre a un mega premio.

Premi del concorso artistico letterario Il mare nell’immaginario infantile: un’avventura nella mia barca

Come detto tutti i racconti e tutti i disegni saranno pubblicati, inoltre grazie ai partner del concorso sono previsti i seguenti premi: due visite guidate a bordo di un mega yacht di oltre cinquanta metri, due inviti al Salone Nautico di Genova, due uscite in barca per una battuta di pesca, due escursioni in semi sommergibile e non è finita qui.

Al lavoro ritenuto più significativo è riservato un premio particolare: un soggiorno per il piccolo e partecipante e per la sua famiglia di una settimana a Capo Vaticano presso l’Antico mulino del porticello.

Il soggiorno a Capo Vaticano è offerto dal Centro Sperimentale di Arte Contemporanea, mentre le due visite guidate a bordo del mega yacht le offre l’associazione Comandanti Mega Yacht Italian Yacht Masters, gli inviti al Salone Nautico di Genova che quest’anno si terrà a ottobre sono concessi da Liguria Nautica e grazie a Barbara Armerio sarà possibile oltre alla visita del Salone Nautico ligure salire a bordo di alcune imbarcazioni tra cui gli yacht Amer, Max Ricci presta le sue conoscenze e i mezzi per le uscite per una battuta di pesca, mentre le uscite in semi sommergibile sono della Nemo Sub srl; Chiara Benassi è qui citata tra gli sponsor per il fatto che ha realizzato l’immagine del concorso.


a cura di Elettra Nicodemi

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