Paul Klee e Egon Schiele tra i pipistrelli e gli insetti
Egon Schiele, Paul Klee, Francis Bacon, la crisi del 1873, la storia dei tre via metafora di pipistrelli e insetti

Sto scrivendo questo articolo su Egon Schiele e Paul Klee.
Voglio dirvi fin da subito che non ho mai letto prima un articolo che metta insieme questi due pittori, giustamente, perché loro sono due fenomeni diversi.
Poi nell’articolo ci sarà anche il dublinese Francis Bacon, ma sarà solo di passaggio qui, come anche Marc Chagall.
Di solito sono trattati all’interno del loro contesto sociale o meglio dentro il loro contesto artistico.
Probabile che uno abbia già visto vicini i nomi Egon Schiele e Paul Klee.
Per il fatto che il secondo dei due, Paul Klee incrociò la Secessione viennese, il movimento artistico di Schiele.
Tra i due corrono undici anni.
Paul Klee nasce nel 1879.
Egon Schiele è più giovane, classe 1890, quando Paul ha 30 anni Egon ne ha diciannove.
Ma, si sono spenti i motori per un attimo, o sbaglio? Fermi così, lasciamo che la corrente ci porti dalla sua parte; scarrocciamo.
Quando li riaccenderemo riprenderò a raccontare da dove mi sono interrotta e a quel punto sarà già ora di manovrare per entrare in porto.
Per ora proviamo a concedere a noi stessi quel momento di pace che si può provare a contatto con la natura.
Non mi riferisco all’aria pura che si percepisce durante una passeggiata di montagna.
Piuttosto a quella sensazione di perdita di confini personali, la perdita del confine del proprio corpo.
Il momento in cui si entra così tanto in sintonia con gli elementi che si ritorna ad essere parte della natura.
Non più macchine pensanti sintonizzate sui propri desideri.
Desideri che arrivano dal mondo dell’apparenza, del sabato sera, dell’aperitivo, del centro commerciale, dell’ultimo grido, della corsa al parcheggio, dello scatto migliore.
Parlo di concederci ora il momento che io chiamo Giro del mondo.
Qui lo facciamo di fronte a uno schermo.
Lo facciamo insieme questo sì, con Paul Klee e Egon Schiele.
Ma senza la vostra buona metà, non riusciremo ad arrivare proprio da nessuna parte.
Sarà ancora lo stesso giorno la stessa ora, il solito identico minuto di prima di iniziare a leggere.
Davanti a noi ci sarà solo il solito vecchio ben noto problema qualunque esso sia; purtroppo sarà la solita lista di cose da fare.
Il solito maledetto cane che abbaia, il solito vicino di casa inquietante, la solita vecchia incertezza se buttare o no quel paio di scarpe.
Qui invece faremo il Giro del mondo, se siete d’accordo.
Non si parte se non per ritornare. E tuttavia bisogna pur partire.
I miei più fedeli lettori sanno che possono fidarsi, ciecamente.
Quando ricevono la notifica dal loro social preferito, mi hanno detto, Bene è uscito un nuovo articolo di Elettra, per stasera non ho impegni.
Fosse stato qualche decennio fa, arrivati a casa all’imbrunire avrebbero messo su la segreteria telefonica, avrebbero staccato la luce fuori,
Anche se nessuno viene più a suonare per un caffé o per una partita a carte, due calci al pallone, almeno da un secolo.
Stasera ho da mandare al diavolo i vicini, per stasera non ci sono.
Qualcuno avrebbe acceso il baracchino e avrebbe dato la notizia ad altri amici.
Qualcuno dall’altra parte del microfono avrebbe risposto, Cosa? Il nuovo articolo di chi?
E quello di rimando, scritto da Elettra Nicodemi
Ugh, e dove?
Inside The Staircase passo e chiudo.
Poi avrebbe spento il baracchino. Acceso la luce più soffusa, la lampada della scrivania. Accostato le imposte perché quei dannati pipistrelli non avessero a entrare nella stanza.
Si rischia, che finiscano a sbattere per tutte le pareti senza che capiscano qual è il buco da dove sono entrati. E che si facciano del male.
Tutti i miei amici sanno che io detesto che qualcuno possa fare male a una di quelle maledette macchine volanti, perché loro sono ciechi e nudi come gatti; sono dei sottomarini con le ali, usano il sonar.
Qualcuno sa anche che a volte resto ore a guardarli di notte seduta sul tetto della macchina, i lampioni dei parcheggi attirano i pipistrelli come il miele le mosche.
I pipistrelli europei non sono affatto di grosse dimensioni e sono creature timidissime oltreché oltremodo utili, sebbene non ne abbiano la minima cognizione.
Loro seguono l’istinto.
Che poi in realtà quello che fa il maggior fascino dei lampioni sono il nugolo di farfalline che ci volano intorno.
Deve essere sensazionale lanciarsi contro una luce e virare all’ultimo secondo.
Loro non vedono il pericolo di sfracellarsi contro la lampada, loro seguono traiettorie che non riesci mai a prevedere se non dopo averli guardati per ore per giorni, e che vanno bene solo per quello spicchio di cielo.
Dopo averli amati quel micro secondo quando ti sei messo a chiederti, che diavolo succede lassù? In quel momento hai amato perché hai deciso di provare a conoscere; hai perso l’equilibrio della vita ordinaria.
Hai puntato i piedi e hai fermato la portiera dell’auto prima che si chiudesse? Hai stretto la mano del tuo innamorato? Hai cacciato tutti i moscerini che ti ronzavano intorno dietro alla tua testa, ti sei attaccato alla gonna della mamma con un dito che indicava il cielo?
Almeno una volta nella tua vita i pipistrelli saranno stati quello che io chiamo la tua Big Wheel, il pezzo forte della serata, la tua ruota panoramica.
Perciò se per un momento volete farvi prendere per mano; vi prometto che vi riporterò indietro, riprenderete di nuovo a sentire la pianta dei piedi nelle scarpe, in altre parole vi rimetterò con i piedi per terra.
Vi prometto un giro, nient’altro; mettetevi comodi, però.
Sganciate il bottone, specialmente dopo il pasto è bene allentare la cintura; sgranocchiate qualcosa; decidetevi finalmente a prendere dallo scaffale le erbe per il pediluvio.
Sono così rilassanti, qualsiasi cosa sia, respirate, più a fondo.
1909, Paul Klee
È il 1909 Paul Klee espone alla mostra internazionale della secessione, ha due quadri da attaccare.
1909, Egon Schiele
È il 1909 e Egon Schiele ha appena lasciato la Accademia di Belle Arti di Vienna, sono passati un paio di anni da che ha conosciuto Gustav Klimt.
Non sa che da lì a poco sarebbe diventato il prediletto dell’affascinante pittore viennese o che forse lo era già, lo era stato fin dal primo momento al caffè Museum Vienna nel 1907 quando si erano incontrati per la prima volta.
La Farfalla e il Pipistrello
Prima di provare a chiarirmi chi dei due sia la farfallina e chi il pipistrello intendo tra Egon Schiele e Gustav Klimt credo sia il caso di almeno annunciarvi -solo annunciarvi per ora- che qui parleremo anche di economia e di filosofia, non sarà solo una questione di bestie notturne e pittori, spero che non vi dispiaccia, avrei dovuto farlo prima.
Prima di chiarirmi se si tratti di un pipistrello e di una farfallina o se piuttosto non si tratti di una esistenza duale dei due, vi spiegherò meglio, vorrei farvi vedere però qualche immagine.
Ho qualcosa qui di Egon Schiele e di Paul Klee.
Lasciate da parte i quadri di Gustav perché già li conoscete.
Il bacio, l’abbraccio, chi non li ha mai visti almeno per un secondo.
Ripenso al fatto se quei due lo avessero intuito nel 1907.
Difficile dirlo dopo così tanto tempo, più di secolo.
E non abbiamo alcun diario di Gustav Klimt, né un documento da Egon Schiele; siamo in mare aperto.
Il 1907 è già fuori dal tempo, qualcosa che appartiene ai ricordi.
Ora è il 1909 Egon Schiele è fuori dall’Accademia, là gli facevano dipingere solo quello che avevano dipinto altri, gli insegnavano a essere conforme.
Lui ha bisogno di risposte, ha bisogno del suo Giro del Mondo, sta cercando qualcosa che è stato estromesso dall’Accademia di arte, sta cercando artisti.
Artisti come lui diversi da lui qualcuno che capisca ciò che prova, il suo mondo interiore, i conflitti con il mondo le ingiustizie che vive, a livello sociale, sul piano del valore della vita, sulla profondità dell’uomo.
Ha qualcosa che muove dentro di lui, ha bisogno di inquadrarlo, tirarlo fuori, quando dipinge si sintonizza con quel qualcosa, perciò ha deciso per l’accademia di pittura, ma lì gli insegnano un mestiere, non lo aiutano a esprimere se stesso, lì gli impediscono di dipingere, lì gli inculcano che c’è una strada da seguire e che bisogna percorrerla; o almeno ci hanno provano.
Là cercavano di fargli dimenticare la meta del viaggio; il motivo che lo ha spinto ad andare, non si può spazzare sotto al un tappeto, per appoggiarvi sopra il cavalletto.
L’estro creativo è più forte di qualsiasi altra sciocchezza, è vero, è vivo e ha bisogno di altri artisti, altri come lui che vivono in modo conflittuale il rapporto con la società.
Perché la società non è abbastanza aperta da includere la gente che soffre né il corpo delle persone.
Testa, testa, tutta testa, niente pancia; testa nel dipingere, testa nel pensare l’arte, testa nel vivere.
Lui Egon è un pipistrello: usa il sonar, ha fame e va dove ci sono farfalline, dove c’è la luce.
Il suo lampione è il caffé Museum Vienna. La sua farfallina l’ha trovata nel 1907 è Gustav Klimt, il suo miglior maestro, il suo miglior amico, uno con cui si sintonizza.
1909 Francis Bacon
È il 1909 e Francis Bacon sta strillando nella sua culla; il 28 di ottobre di quell’anno ha deciso di ficcare la testa nel buco, e di uscire dalla pancia di sua madre; era ora di venire al mondo.
Non si sa mai perché decidiamo di fare quell’ultimo tratto prima di venire alla luce se non dopo molto tempo; a volte devono passare decenni.
Altre volte il momento in cui ci volgiamo indietro e capiamo il senso della nostra vita, arriva dopo un quarto di secolo; altre volte ancora dopo mezzo secolo, certe volte ci vuole una vita intera e un pizzico di fortuna.
Alcuni non lo capiscono affatto, se ne vanno prima che il momento buono abbia fatto capolino da dietro l’ammasso di scartoffie, alcune volte l’ultimo scalino è fatale.
Halelujah
Ma quando arriva quel momento, il momento in cui ti volti indietro e tutta la strada che hai percorso ha un senso, allora quello è un giorno di Hallelujah.
Hallelujah, allora viene fuori come una colomba bianca, ogni respiro da quel momento è un freddo e rotto alleluhia.
Finalmente puoi guardare avanti con una meta, con una direzione da tenere, e tutto il mare che ti sei lasciato alle spalle non è più solo acqua salata, ma una rotta percorsa.
Fino a quel momento avevi fiducia che un senso sarebbe arrivato, ma avevi poche prove, credevi in qualcosa, andavi avanti o sembrava che stessi cambiando direzione.
Era irrazionale, era incoerente, era la tua vita, era qualcosa che portavi avanti, senza alcuna buona ragione.
Posso dirlo con certezza; quel momento per ognuno di voi è arrivato o arriverà.
C’è una certa stabilità nella natura umana, pur nel variare delle condizioni storico-geografiche.
Ognuno di noi almeno per un periodo della propria vita ha agito senza logica; la razionalità di ognuno di noi per un periodo più o meno considerevole è stata a-logica, senza logica, anche se una logica c’era; una logica non strumentale, una razionalità senza mezzi adeguati al fine.
Come una bandiera che sventola sul suo palo.
Abbiamo pianto, riso, incassato sberle, più spesso sberle morali che fisiche, ci siamo distrutti, ci siamo curati, abbiamo iniziato a guardarci intorno, poi a guardare oltre.
Poi la bandiera che prima sventolava su un palo, ci rendiamo conto, è un bandiera che sta sventolando sull’arco di trionfo e nessuno riuscirà mai a spiegarci come ha potuto arrivare fino a lassù, sennò il freddo e rotto Halelujah che ci esce dal petto.
Allora mi piace pensare che quel giorno del 1909 in cui Paul Klee partecipava alla mostra della secessione viennese, a Berlino, fu il giorno in cui si allinearono la serie di coincidenze che avrebbero incrociato il suo destino con quello di Marc Chagall, nel 1914, forse lui doveva incrociare una delle menti più brillanti del XX secolo la quale stava percorrendo il primo viaggio San Pietroburgo-Parigi della sua vita.
Non sapeva che sarebbe passato molto tempo prima che potesse ritornare là a Berlino, così come Marc Chagall non sapeva che i quadri che avrebbe lasciato a Berlino sarebbero andati perduti cosa che constatò nel secondo viaggio quello del 1923.
Probabilmente Egon Schiele non sapeva perché sentiva quell’inquietudine che accompagna tutta la sua produzione artistica, così come accompagnò la decisione di lasciare quella che poteva essere considerata la via maestra per la carriera da pittore, l’Accademia.
Il mondo stava cambiando in maniera irreversibile.
La crisi del 1873
Gli effetti della grande depressione del 1873- 1895 (anche detta crisi del 1873), iniziavano a cristallizzarsi.
A causa del fatto che nuove misure politiche erano in via di attuazione e l’orientamento delle misure economiche era improntato a una tutto sommato nuova forma di economia, il capitalismo.
La crisi economica del 1873 determina l’inurbamento, un fenomeno sociale caratterizzato dalla migrazione massiccia dalle campagne alle città e dalle aree meno sviluppate a quelle più forti.
La crisi ebbe avvio nel 1873 e durò un ventennio.
Furono due gli eventi che segnarono la crisi: l’8 maggio 1873 a Vienna vi fu una forte mattinata di vendita in Borsa, i risparmiatori erano timorosi per i loro risparmi e si determino una ondata di panico: tutti vendevano azioni, il prezzo crollava; il 18 settembre 1873 negli Stati Uniti fallisce una banca, la Jay Cooke & Company; la Northern Pacific Railway era costata un buco grosso come un buco nero, ci fu un secondo episodio di panico in borsa.
L’istituto bancario statunitense con sede a New York, la Jay Cooke & Company non riesce a recuperare i prestiti che ha erogato per la costruzione di quella ferrovia.
Gli Stati Uniti crollano di fronte al panico del 1873 e la produzione del paese segna un terzo in meno.
Manca domanda, mancano acquirenti, aumentano i licenziamenti e di conseguenza aumentano i disoccupati.
La crisi diventa affare della Gran Bretagna, della Francia, della Germania.
Si prova a sopperire all’eccedenza di merci, producendo meno e poi vendendo a paesi arretrati, inizia il colonialismo in altri paesi, strategia che non porta grandi successi di ripresa, tuttavia ha delle conseguenze.
E è determinata anche da nuove tecnologie per il trasporto delle merci: le imbarcazioni passano dalla vela al motore.
Le merci statunitensi saturano i mercati europei; la merce americana costa meno perché ci sono state annate di magra nel settore agricolo.
I coltivatori europei passano da una economia di sussistenza a colture specializzate, per cercare di abbassare i costi di produzione, ma migliaia di contadini sono in rovina; lasciano la campagna, hanno come metà le città oppure emigrano in altri paesi.
I salari vengono abbassati; la crisi continua a mordersi la coda.
Il reddito si contrae con una velocità imposta, il livello generale dei prezzi con un’altra; non c’è abbastanza moneta per recuperare un buon livello di domanda, l’offerta resta troppo alta, non può abbassarsi troppo oltre quello che si è speso per crearla.
Se lo fa produce fallimento, aumento dei licenziamenti, ulteriore diminuzione dei salari.
John Maynard Keynes
John Maynard Keynes chiama la descrizione di questo fenomeno con la locuzione Domanda Aggregata e la curva che mostra la domanda di beni e servizi in riduzione ad un incremento dei valori sulle ordinate cioè nel caso in cui vi sia un incremento dei prezzi la chiamano curva di Marshall.
Nel mentre in cui gli economisti tracciano i loro assi cartesiani, le città si riempiono, le campagne si modificano, nell’assetto sociale e nella distribuzione di lavoro; cambiano le colture.
Non si produce più la materia prima per la sopravvivenza, il filo con l’agricoltura e le merci di oltreoceano diventa a doppia mandata; la condivisione dei mercati è irreversibile; la moneta è diventata il nuovo dio, il capitale il nuovo diavolo.
Se l’Australia e l’Argentina si affiancano agli Stati Uniti sul piano della produzione agricola, è vero anche che il Giappone, la Russia e l’Italia avanzano al livello dei paesi con grande capacità produttiva, ossia Gran Bretagna, Belgio, Francia.
Se per la Russia l’impatto culturale con il resto d’Europa avviene in modo preponderante sul piano letterario.
Se l’ingresso dell’Italia nei mercati non ha scossoni, infatti la cultura artistica della penisola aveva già attechito nel resto d’Europa grazie ad esempio ai viaggi di istruzione dei pittori che venivano in Italia a studiare i grandi maestri e attraverso i grandi compositori.
Indubbiamente il caso nipponico è a parte.
Il Giappone si è aperto all’Occidente a partire dal 1850, dopo un isolamento secolare; la straordinaria novità della sua cultura e della sua arte ha determinato in Europa un vero e proprio fenomeno culturale detto japonisme o giapponeseria con influssi sulle decorazioni bidimensionali recepite dallo studio degli artisti del periodo Edo.
Sembrerebbe che il Giappone si sia fatto spazio prima con la sua affascinante tradizione poi con la sua merce ed è diventato competitivo nella misura in cui è stato amalgamato dagli artisti alla cultura degli stati europei .
Parlando poi ancora di grandi potenze in Europa, è bene ricordare che la Germania aveva riorganizzato la sua produzione siderurgica a partire da un paio di anni prima dell’inizio della crisi, quando ha vinto la guerra franco prussiana nel 1871; e che sullo scacchiere è il pezzo più forte insieme agli Stati Uniti d’America.
La situazione alla fine del ventennio di crisi (1873-1895) non vedrà più le cose riallinearsi al vecchio modello economico.
La gente dopo quando la crisi è stata digerita, inizia a sentire un nuovo bisogno, quello della mediatizzazione.
L’inurbamento è stato davvero considerevole; gli spazi di convivenza si sono ridotti; si è modificato il modo di abitare, la socializzazione ha nuovi risvolti; c’è un nuovo equilibrio con cui bisogna imparare a bilanciare.
Un nuovo modo di pensarsi si affaccia allo scenario della filosofia, così come dell’arte.
Si inizia a sentire il bisogno di trovare i confini del proprio corpo; il corpo è in continuo primo piano nelle strade, nei luoghi di ritrovo, nel mondo zeppo delle città.
La sessualità e l’erotismo diventano ossessionanti come mai prima di quel momento.
I modelli costituiti dalle istituzioni cittadini o statali, non hanno tenuto il passo, impongono un conformismo che non può più realizzarsi, che appartiene del tutto a un passato che non è più presente.
Il primo avviso lo abbiamo con gli Impressionisti.
Loro sono così osceni; scioccanti per i borghesi.
Egon Schiele è a Vienna nel 1909; mi piace immaginarlo seduto sul cumulo di macerie che la crisi economica ha lasciato dietro di sé.
E ha bisogno di modelli credibili; coerenti con la realtà di cui è partecipe.
Li trova nei luoghi di ritrovo pubblici; sono gli artisti della Successione Viennese, è Gustav Klimt il suo preferito e la cosa sarà reciproca.
Egon esordisce nel 1908 per la Wiener Werkstätte movimento del 1903 secondo cui l’arte ha risvolti sulla quotidianeità, ha una importanza spirituale e pratica.
Schiele e Klimt lavorano come artisti fianco a fianco per un po’ di tempo.
Con un’intervallo in cui Egon ha viaggiato in boemia, ha abitato in una cittadina non lontana dalla capitale austriaca, è stato in prigione, poi arriva il 1915 e Egon parte per il fronte della Grande Guerra.
Mi auguro che si siano salutati quei due quel giorno, prima di andare; lo hanno chiamato a servire per il paese.
1918, Egon e Paul
Egon Schiele ha vent’otto anni quando suona l’ultima campana.
Non è stata la guerra.
L’influenza spagnola conta decine di milioni di morti nel mondo; uno di questi è Egon Schiele.
E un’altra è Edith Harms sua moglie, lei prima di sposarlo era stata la sua amata, come le altre due modelle che lui aveva avuto prima di lei, lei era in cinta di sei mesi quando la spagnola se la portò via.
Passano tre giorni dalla morte di Edith e del figlio nella sua pancia; poi Egon muore.
Il calendario segna 31 ottobre 1918; Egon era tornato dalla guerra ad aprile.
Per questa prematura scomparsa è spesso preso a modello per il cliché dell’artista incompreso.
Si potrebbe dire che si era appena affacciato alla vita quando il destino lo portò via.
Nel 1918 Paul Klee ha 39 anni e quello è l’anno in cui scrive il saggio intitolato La confessione creatrice.
Lo avevano richiamato nel 1916 a prestare servizio.
Il saggio lo pubblica nel 1920, quando inizia ad insegnare per Walter Gropius.
La sua prima consacrazione come artista è arrivata l’anno precedente, nel 1919; a quarant’anni.
Con il lavoro alla scuola diventa l’anima del Bauhaus; succede perché lui è un vero artista.
E perché attraverso l’insegnamento ha modo di formalizzare la sua arte.
Ragiona, prepara le lezioni, spiega a sé stesso alcune cose.
Per esempio l’uso del colore, di cui dice se ne è appropriato nel 1914, con il viaggio a Tunisi e a Hammamet.
La didattica è una cosa da cui trae giovamento e ispirazione.
I suoi allievi lo chiamano il Budda.
Nel mentre in cui prepara le lezioni , si chiarisce alcune cose a cui aveva pensato marginalmente.
Ha modo di riflettere.
Passa poi alla Accademia di Düsseldorf.
Nel 1933 lo sciagurato avvento del nazional socialismo.
A causa del regime totalitario nazista è costretto a lasciare l’insegnamento; la sua è etichettata come “arte degenerata”.
La Shoah è in corso e Paul Klee insieme alla sua arte è una delle vittime della censura e della riforma basata sull’ideologia nazista.
La cittadinanza svizzera gli sarà accordata solo postuma, tuttavia a Zurigo dove muore il 29 giugno del 1940, in quell’anno nel 1940 si tiene una sua personale, alla Kunsthaus con 213 opere degli ultimi 5 anni, ha continuato a dipingere nonostante la sclerodermia.
Di lui mi piace ricordare la sua filosofia, l’arte non riproduce la realtà, la rende visibile.
Francis Bacon, 142,4 milioni di dollari
Di Francis Bacon invece a parte i suoi quadri, di cui uno venduto nel 2013 per 142,4 milioni di dollari da Christie’s a New York, mi piace ricordare il fatto che era omosessuale e che quando lui era omosessuale a Londra, nei primi anni venti, l’omosessualità era proibita; era un reato.
Poi mi piace ricordare che dopo aver vissuto diversi anni a Parigi studiando il Cubismo e Picasso, tornò in Gran Bretagna e si mise a lavorare come interior designer per Douglas Cooper uno dei più grossi collezionisti di arte moderna inglesi dell’epoca.
Gli insetti e i pipistrelli
Perchè così come penso che tra Gustav Klimt e Egon Schiele ci fosse un rapporto duale; uno diventa pipistrello nel momento in cui l’altro si muta in farfallina e che la luce del lampione esistesse nella loro reciprocità.
Credo che per per Paul Klee la luce del lampione fosse l’arte, e che lui stesso fosse sia farfalla che pipistrello alternativamente.
Poi credo che Francis Bacon sia lui stesso il pipistrello dei suoi quadri che arriva in volo da nessuno sa dove, sulle farfalline che si avvicinano all’arte.
Fine della giostra; il cancellino del sedile della ruota panoramica si alza; appoggiate pure sul pavimento i doni che avete scelto durante il vostro Giro del mondo; ben tornati a terra e buon vento alla prossima uscita.
Su Marc Chagall ho scritto National Marc Chagall e la storia di Marc Chagall
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written by/ scritto da Elettra Nicodemi
Categorie:Storia dell'Arte
6 risposte »
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