Il Verrocchio
Pittore italiano oltreché scultore, orafo e maestro di arte; artista attivo a Firenze presso la corte di Lorenzo de’ Medici, frequentarono la sua bottega allievi molto talentuosi che segneranno a loro volta la storia dell’arte con capolavori materiali e con un contributo immateriale senza pari relativo alla riproduzione del reale.
Tra gli allievi del Verrocchio (Firenze 1435-1488 Venezia), vediamo in particolare Leonardo Da Vinci, Sandro Botticelli e Pietro Perugino, accennerò inoltre anche ad altri suoi famosi allievi come Domenco Ghirlandaio e Lorenzo di Credi tra gli altri noti e a suoi, si potrebbe dire amici, colleghi, maestri come il delicatissimo fra Filippo Lippi (Firenze 1406-1469 Spoleto) di una trentina d’anni più vecchio di Andrea del Verrocchio, con il quale lavorò a stretto contato nel duomo di Prato negli anni Sessanta del XV secolo e meglio conosciuto come maestro egli stesso di Sandro Botticelli (1445-1510), sebbene sia più opportuno in una ottica aderente più al periodo storico artistico che alla narrazione storica artistica di esso, ritenere che si sia trattato di un clima artistico a insegnare agli uni e agli altri.
Un clima artistico di cui la conditio sine qua non fu la pace e che è legato a una collettività di artisti e committenti che noi a distanza di secoli vediamo essersi costituita in modo più o meno consapevole di sé nel corso dei vari decenni dell’età laurenziana; una comune di artisti evolutasi su più antiche orme masaccesche tramite influenze varie e tale da formare una estetica e una abilità stilistica in cui, artisti come quelli fin qui citati, crearono dettagliatamente il proprio tratto personale, pungolati da una profiqua competizione, invogliati da un sano spirito agonistico, incoraggiati non in ultimo dalla amicizia originale tesa al bene reciproco e alla condivisione dello stesso sentire.
Leonardo Da Vinci

I Da Vinci, i quadri a olio di Leonardo da Vinci, ma anche i disegni naturalmente mostrano figure pesanti.
Hanno un peso le parti del corpo e i corpi stessi e perciò hanno una leggerezza; alcuni punti sono più carichi, rispetto ad altri.
Per fare un esempio pratico, potremmo considerare il fatto che quando ci portiamo in piedi rispetto ad una posizione seduta, spostiamo il carico del peso su alcune parti del corpo e poi su altre.
Considerazione che permette di mettere a fuoco i Da Vinci con una luce tale da renderli inconfondibili e del tutto indimenticabili
Nella galleria di immagini sottostante ho inserito Madonna col bambino e sant’Anna del 1510, in cui la vergine Maria sta seduta sulle gambe della madre, sant’Anna.
Sant’Anna ha appena spostato le gambe tenendo fermi i piedi, come se avesse mosso entrambe le ginocchia da sinistra verso destra, per tenere la figlia a sé, mentre la figlia adulta, Maria, sorregge il suo stesso figlio il quale sta tenendo tra le gambe un agnello.
Rapidamente, la composizione è a spirale rispetto ai quattro elementi della scena e di nuovo a spirale per ognuno degli elementi in torsione; ha sullo sfondo un paesaggio montano, tra i più belli del Da Vinci, stagliato su un limpido cielo grigio-azzurro.
L’estrema dolcezza della scena è di solito imputata alla mollezza dell’abbandono di Maria in braccio alla madre che culla a sé la figlia.
Si nota il fatto che la testa di Maria è la parte più pesante della figura; posizionata nella metà superiore, esattamente al centro del dipinto, aggancia lo spettatore del quadro che per così dire si ritrova nella condizione di lasciare tutte le sue occupazioni, siano esse quelle di cavalcare un agnello o altre.
Attratto dall’abbraccio sostenuto di Maria, si abbandona dunque sulle ginocchia di Sant’Anna.
Il luogo dove si svolge la scena pare sopraelevato rispetto ad una valle, un luogo dove si può fermare il tempo, ma non per molto, come suggerisce la ripidità delle rocce in primo piano.
Ancora di solito, i ritratti di Da Vinci sono detti “di spalla” è infatti il genio toscano a introdurre in pittura il tre quarti, fermando sulle tele persone in movimento.
Le tele colorate, mostrano un certo grado di quella che nell’articolo su Raffaello Sanzio “Le Mescolanze e i ritratti” abbiamo chiamato coscienza di essere osservate, mentre invece questo non so che, manca nelle bozze.
I disegni di Leonardo, è bene ricordarlo ancora, sono numerosi solo per quanto riguarda le carte, gli studi, i codici, e si stima che della sua produzione ne rimanga ai giorni nostri solo un quinto dell’insieme!.
I disegni colorati invece sono in numero del tutto esiguo, tanto che lo si considera più comunemente come ingegnere che come pittore.
I codici, come noto, raffinati da piccoli disegni che accompagnano ciò che il maestro descrive, sono per alcuni casi testimonianza della sua produzione di ingegneria, mentre per altri visione degli ingenti studi di anatomia.
Dai numerosi disegni preparatori possiamo leggere i progetti di Leonardo, talvolta con la possibilità di ritrovarne capolavoro, talaltra no.
Docu-film
Numerose le produzioni cinematografiche su Leonardo Da Vinci, tanto che la notizia di qualche novità in merito mi lascia felicemente stupita, prossimamente mi piacerebbe approfondire su questo frangente, ma per ora sono contenta di informarvi sulla proiezione del 2019, tra cui un documentario su Leonardo Da Vinci intitolato Una notte al Louvre, Leonardo Da Vinci.
Una notte al Louvre, Leonardo da Vinci
Una notte al Louvre Leonardo Da Vinci è al cinema domenica 20, lunedì 21 e martedì 22 settembre.
Sarà visibile nelle sale cinematografiche di sessanta paesi in tutto il mondo, tra questi la bella Italia.
Il docu-film è una produzione Grande Arte di Nexo-digital e si inserisce nel novero dei grandi documentari sull’arte che presentano al grande pubblico alcuni artisti cardine della cultura occidentale.
Questo ha la particolarità di essere stato girato dentro il Museo del Louvre nelle ore di chiusura della mostra Leonardo Da Vinci realizzata da Vincent Delieuvin e da Louis Frank del Musée du Louvre e allestita per l’ultimo trimestre 2019 (24 ottobre 2019- 24 febbraio 2020) nell’ambito delle celebrazione per il cinquecentenario di Leonardo Da Vinci.
La mostra 2019 al Musée du Louvre è stata un evento di portata notevole per i prestiti internazionali e per il percorso espositivo, tanto che ne è venuta fuori l’ambizione di trarne il documentario per il cinema distribuito qualche anno fa.
La mostra Leonardo Louvre 2019 risulta essere stata il risultato dell’ultima decina d’anni di studi su Leonardo Da Vinci da parte del Museo del Louvre e dunque era stata realizzata con un occhio davvero nuovo sulla biografia dell’artista tanto che -credo- ancora per qualche anno a venire potrà essere un valido riferimento storiografico su Leonardo Da Vinci con la buona riuscita di permettere di seguire gli sviluppi dell’artista-ingegnere toscano, mostrando il suo accrescimento nella scoperta di se stesso.




Sandro Botticelli
Sandro Botticelli è interprete della cultura neoplatonica di Firenze, con pittori suoi contemporanei affresca la Sistina.

All’epoca di Sandro Botticelli (1445-1510), geniale allievo di Andrea del Verrocchio, le persone e le loro città erano ancora tra loro intrinsecamente unite.
Non che oggi questo legame non esista più, tuttavia una volta era più evidente.
Noi giovani, europei potremmo perfino prendere per “farneticante” uno che non si muoverebbe mai dalla sua amata, per esempio, Firenze.
Dobbiamo pensare che quella reazione è legata al fatto che noi abbiamo la nostra identità su un piano più vasto, legato a più città, a molte nazioni, a diversi usi tipici di un popolo, sussunti ad uno attraverso l’abitante dell’Europa.
Un po’ come uno statunitense si sente sia legato alla città in cui vive ma prima di tutto cittadino americano.
Al tempo di Botticelli le cose non erano così vaste come oggi, eppure erano maggiormente particolareggiate e ancor più si potrebbe dire, assolutizzanti.
Azzarderei, forse il nichilismo del periodo odierno, quella sensazione che tutto esca dal nulla per poi farvi ritorno, è il frutto del primo impatto che l’allargamento dei confini ha portato con sé.
Una prima indefinita, inconscia sensazione di perdita di confini, di perdita di identità, dovuta all’allungamento e allargamento del nucleo.
Potremmo pensare che sia -quel nichilismo- la percezione di un risultato momentaneo, la fotografia di un attimo.
D’altra parte non è forse un solo attimo nell’orologio del mondo, quello che ci separa dalla pace imposta alla terrificante seconda mondiale?
Quel nichilismo di oggi andrebbe legato ad un momento dunque che è ascrivibile a quello che passa mentre una cellula eucariota si divide, nel momento in cui i nuclei sono duplicati e proprio prima del dividersi definitivo del citoplasma.

Le cose stavano in una certa maniera quando Alessandro era giovane e senza grossi dubbi felice e anche in piena attività, ovvero già parecchio dopo che gli fu affibbiato il nome di Botticelli, scelto secondo la spiegazione più plausibile, per il fatto che da ragazzino a Firenze frequentò la bottega orafa di un tizio di nome Botticello.
Ma sicuramente prima che la predicazione di Savonarola scurisse tragicamente i volti dei fiorentini e, per così dire, spegnesse i pennelli degli artisti.
La cultura filosofica di Firenze nel periodo della giovinezza di Sandro era di stampo neoplatonico.
Giusta o sbagliata che sia su altri piani, non si poteva che cavarne del buono oltreché naturalmente del bello e per un tratto considerevole quella cultura neoplatonica va d’accordo anche con la visione del Papato.
Lo si potrebbe dire con maggior certezza basandosi su altre questioni, tuttavia questa affinità al neoplatonismo si evince serenamente da un fatto.
Nel 1481 papa Sisto iv impegna una delegazione di quattro pittori fiorentini, tra cui il nostro Sandro, a dipingere, “Decem historias Testamenti Antiqui et Novi”, frase latina che in italiano significa “Dieci storie dal Vecchio e dal Nuovo Testamento“.
(Ne ho scritto più approfonditamente entro questo articolo Storia biblica dipinta (https://insidethestaircase.com/2022/12/31/storia-biblica-dipinta/)).
La commissione era per affreschi nelle stanze della “magna palatii apostolici”, meglio conosciuta con il nome di Cappella Sistina, la cappella che nella visione di Sisto iv, deve diventare l’immagine corretta del tempio di Salomone.
Al centro di quella decina di dipinti, vediamo l’idea di mettere a confronto la vita dei due personaggi storici certamente visti nella loro veste sacra: ovvero Gesù Cristo di Nazareth e Mosè.

L’intento di tracciare un parallelismo tra le vicende dei due è evidente e dichiarato.
Tanto che le vicende biografiche di Mosè sono da interpretare storicamente come prefiguranti due cose, l’avvento del figlio di dio.
E in maniera non affatto secondaria, prefiguranti un parallelismo tra i due nuclei della Bibbia, il Vecchio e il Nuovo Testamento.
Addirittura si potrebbe parlare della superiorità del Nuovo Testamento per il fatto che in questa parte si realizza compiutamente quanto annunciato nell’altra, cosa che ha come correlato la preesistenza della religione cristiana nell’ebraica.
Sandro Botticelli è l’artista a cui è dedicato questo articolo della rubrica Storia dell’Arte di Inside The Staircase.
Ne parliamo in uno spicchio di tempo preciso, nel 1481-1482 nel periodo in cui è commesso da papa Sisto iv, quando lavora al fianco del magnifico Domenico Ghirlandaio, probabilmente per intercessione di Giovannino de’ Dolci, Sandro Botticelli a Roma in quegli anni.
Accanto a lui non c’è solo il Ghirlandaio, Sandro è insieme all’elegantissimo e inconfondibile Pietro Perugino, così come è spalla a spalla con il grande Cosimo Rosselli; non era quindi affatto solo ad affrescare le sale vaticane.
Eppure il tratto del Botticelli sul racconto biblico, porta con sé una cera verticalizzazione e tensione.
Alcuni autori, paragonando i dipinti fiorentini a quelli romani, notano la tensione botticelliana.
L’interpretazione di questa sfumatura artistica negli affreschi del Botticelli, esiste e è legata alla considerazione di una portato, da parte di Sandro Botticelli, quello di trasmettere l’inquietudine della spiritualità veterotestamentaria.
Spiritualità veterotestamentaria a cui mancherebbe qualche genere di serenità, nei suoi soli confini, cioè restando aderenti al racconto cronologico legato alla stesura della Bibbia, nei racconti narrati c’è un, per così dire, clima diverso rispetto alla seconda parte.
Nei libri del Vecchio Testamento mancherebbe in modo tangibile la luce sfolgorante di Cristo perché seppure e probabile che i protagonisti attendessero sinceramente l’avvento del Messia, ancora non lo avevano conosciuto e ancora non avevano ricevuto il suo messaggio di amore.
Botticelli riesce a dipingere ogni cosa, persino quell’inquietudine precedente a Cristo, interpretabile come un tratto caratteristico del Vecchio Testamento.
Lo intuiamo sui muri della Sistina, conoscendo Sandro, la sua storia, la sua mano, la sua abilità oltreché la sua sensibilità; presso la Cappella Sistina per la parte richiesta da Sisto iv, siamo in grado di vedere qualcosa di più, di togliere un velo al racconto e connetterci direttamente al testo sacro visto nel parallelo tra i due nuclei.
Sì Botticelli val la pena di essere amato per più di una manciata di secondi.
E per capirlo, dico ora una cosa che vale per qualsiasi cosa uno voglia capire veramente, bisogna destabilizzarsi.
Bisogna prima cercare prima di capire che c’è una quantità di ignoto che non riusciremo a riportare entro il nostro orizzonte, bisogna scendere al compromesso che se vogliamo davvero capire qualcosa qualsiasi cosa esso sia, purché piccola essa sia, dobbiamo cambiare.
Fosse anche il cambiamento riguardi l’aggiunta di qualcosa a noi stessi, ma dobbiamo modificarci.
La comprensione, la conoscenza di qualcosa di nuovo, qualora avvenga in maniera veritiera, ci farà cambiare, per questo ci sarà un momento in cui ci sentiremo leggermente disturbati: è il momento in cui la goccia di colore è caduta nel vasetto di vernice bianca.
Penso a un esempio da fare, penso a questi video che amo guardare on line quando ho tempo; sembra vada per la maggiore una tecnica artistica che usa la vernice.
Si prende un contenitore, per esempio un bicchierino di plastica, lo si riempie di vernice; si possono fare strati di colore con la vernice perché quella vernice liquida è abbastanza consistente da restare sospeso su quella sottostante almeno per un po’; insomma poi a piacimento si può aggiungere una goccia di un colore diverso.
Poi si prende la tela da pitturare, la si appoggia sulla bocca del bicchierino e si rovescia, come una frittata.
Quando impariamo qualcosa aggiungiamo un colore al bicchierino, non restiamo uguali.
Noi siamo sia il bicchiere che la vernice che sta all’interno, accumulata nel tempo come le nostre esperienze, alla pari delle nostre conoscenze, stratificate di diverso tipo e che tra loro sono in un rapporto di compenetrazione.
Essere affascinati senza corrompersi è senz’altro un difetto.
Sandro Botticelli parlava attraverso il disegno, aveva una capacità tale da poter esprimere qualsiasi cosa desiderasse; il colore predominante è il neoplatonismo, delle altre gocce ci sono, belle come oro.
Qui abbiamo provato a setacciarne almeno una pagliuzza, a tirare fuori una goccia di colore.
Guardate i suoi affreschi sui muri della Sistina in Vaticano, ricordate che quella parte delle pareti la hanno dipinta in quattro, il Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, il Perugino e lui, Sandro Botticelli.
Guardateli di nuovo o per la prima volta, poi ditemi se c’è, se vedete l’oro della tele.
Articolo in aggiornamento.
di Elettra Nicodemi
Categorie:Storia dell'Arte
2 risposte »
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