
I disegni dei puntillisti sono creati avvicinando macchie di colore puntiforme.
Elettra Nicodemi
I puntini colorati di George Seurat e di Paul Signac, sono netti e, a breve distanza, ben distinguibili. Per la tecnica usata da questi artisti, si parla dunque di Puntillismo.
Il puntillismo nasce come cesura con la corrente impressionista eppure ne mantiene l’intuizione.

La vocazione di libertà e di sperimentazione tipica della pittura impressionista, dopo il 1880, ha nuove pretese.
Gli artisti parigini hanno bisogno di dare nuova consistenza ai quadri, fermare la fugacità dell’immagine con qualcosa di nuovo.
Nasce un nuovo impressionismo che appunto è il puntillismo.
I primi disegni del movimento neoimpressionista sono di Georges Seurat (Parigi, 1859-1891).
Le intenzioni artistiche di Seurat di cui trattiamo più approfonditamente nel seguito dell’articolo e tristemente scomparso ancora giovane, a soli trentadue anni, sono riprese da Paul Signac, contemporaneo e concittadino di Seurat. Paul Signac (Parigi, 1863-1935) riprende e analizza in scritti teorici, il metodo iniziato da Seurat.
Di Signac vediamo qui a fianco “Antibes, le Torri”. L’immagine scelta per la copertina del post, ritrae le torri del porto francese della Costa Azzurra; l’opera è del 1911.
Sono dunque passati più di vent’anni dall’esempio di Seurat e il puntillismo si è modificato. Le opere del tardo neoimpressionismo sono dipinte con trattini colorati non con puntini.

La differenza si fa notare anche nella denominazione.
Quando i punti diventano stanghette, è più appropriato parlare di divisionismo, per il fatto che l’attenzione è spostata all’accostamento (o divisione) del colore più che alle palline in sé.
Questa tecnica, la divisionista, è usata e ripresa in modo originale, da Vincent Van Gogh e per la quale alcuni autoritratti sono particolarmente significativi.
George Seurat
Parlando ancora di Georges Seraut non si può prescindere dalla National Gallery di Londra che dedica la stanza n°41 all’Impressionismo ed è lì che possiamo vedere quadri del padre del neoimpressionsmo, così come sarebbe grossolano non citare il magnifico Musée d’Orsay, la Francia infatti, si potrebbe dire, dedica un intero museo a una delle correnti artistiche più care all’esagono, per provenienza e per produttività. Il Musée d’Orsay più in generale celebre per le collezioni di opere del periodo che va dal 1848 e il 1914, si potrebbe dire creato appositamente per esporre questa “zona” della Storia dell’arte, quella dell’Impressionismo e del Post-impressionismo.
Musée d’Orsay
Il reparto puntillismo

Il museo parigino che ha sede nella stazione dismessa dei treni e di cui è icona il grande orologio da muro che un tempo era punto di riferimento per i pendolari e che è originale, -o meglio, già presente dai tempi di inizio secolo, la Gare (la stazione) dei treni fu infatti realizzata per l’Esposizione Universale del 1900- è stato inaugurato nel 1986 dall’allora presidente della Repubblica Francese François Mitterrand e tiene la sezione del Post Impressionismo al secondo piano.
Tra gli artisti naturalmente Georges Seraut, ma anche Vincent Van Gogh, Paul Signac, Paul Gauguin, Bonnard e altri.
Non sappiamo come né se cambieranno la disposizione delle opere a seguito della realizzazione del progetto Orsay Grand Ouvert recentemente annunciato dall’istituzione museale in concomitanza con la notizia della donazione anonima di 20 milioni di euro ricevuta attraverso la American Friend of Musée d’Orsay et de l’Orangerie, sappiamo però che il progetto edilizio metterà a disposizione del percorso espositivo ben tredicimila metri quadrati di spazio in più attraverso la riorganizzazione di spazi attualmente adibiti a uffici amministrativi.
Bisognerà aspettare fino al 2026, data di consegna dell’operazione di trasformazione, per vedere il risultato finale, nel frattempo quindi abbiamo il tempo di preparare una mappa mentale delle cose da vedere al d’Orsay, curiosando anche in altri musei.
Mostra 2020

Aperta il 10 marzo 2020 la mostra primaverile del Musée d’Orsay , intitolata Nel paese dei mostri. Léopold Chaveau.
Nata da un lascito proveniente da casa Chauveau datato 2017 e consistente di 100 disegni e 18 sculture, la mostra “Il paese dei mostri” è curata da Ophélie Ferlier-Bouat e Leïla Jarbouai (museo d’Orsay) e espone Léopold Chauveau il cui immaginario sembra mescolare spaventosi gargouille medievali e influenze giapponesi. Autodidatta, originale, stravagante Chauveau inizia a scolpire nel 1905, i mostri arrivano da lì a poco nel 1907, mentre le sue lande preistoriche, desolate, ancestrali arrivano a partire dagli anni ’20.
La mostra si articola su due assi: la personalità, poi la vita e l’opera di Chauveau ovvero il suo universo privato. Léopold Chauveau (1870-1940) è scultore, illustratore, autore di libri per adulti e ragazzi.
A lungo scansato dalla storia dell’arte è atteso al d’Orsay dal 10 marzo al 29 giugno 2020 poi a La Piscine, Museo d’arte e industria André Diligent di Roubaix dal 17 ottobre 2020 al 17 gennaio 2021.
13 settembre 2020
La mostra Il paese dei mostri di Chaveaux resta al Musée d’Orsay fino al 13 del mese
Commissari della mostra Ophélie Ferlier-Bouat e Leïla Jarbouai, curatrici al museo d’Orsay. Realizzata in collaborazione con Gobelins, la scuola di immagini
e con la partecipazione dell’Istituto Ricordi dell’edizione contemporanea.
“A partire dagli anni ’20 del Novecento, [Léopold Chauveau] immagina dei paesaggi mostruosi: distese prediluviane e desertiche in cui si muovono mostri biomorfi impegnati in strane attività. Chauveau ha inoltre illustrato alcuni grandi classici (L’Antico e Il Nuovo Testamento, Le favole di La Fontaine), talvolta rivisitandone persino il testo (Le Roman de Renard), e ha inventato delle avvincenti storie di animali e di bambini.“
Dal sito web Musée d’Orsay
Cogliamo qui l’occasione per ricordare la notizia rilasciata il 5 marzo 2020 dal Musée d’Orsay.
Il museo francese inaugurato da François Mitterrand nel 1986 ha rilasciato un comunicato stampa in cui annuncia che a partire da quest’anno (2020) il museo sarà interessato da un progetto di trasformazione e ampliamento per un grande progetto edilizio intitolato Orsay Grand Ouvert che sarà realizzato nel corso dei prossimi sei anni.
Il museo parigino ha anche annunciato nella stessa sede, una donazione anonima di 20 milioni di euro.
La donazione è stata fatta da un donatore americano anonimo e ricevuta attraverso la associazione American Friends of Musée d’Orsay et de l’Orangerie.
Un quadro per Inside The Staircase
Il Ritratto del dottor Gachet conservato al Musée d’Orsay è la seconda versione di questo quadro, la prima versione, più scura e più carica di oggetti, apparterrebbe invece a una collezione privata.
Vi ho parlato di questa persona, il dottor Gachet, nell’articolo Vincent Van Gogh cerca amici, dove ho messo un approfondimento sul quadro che si potrebbe chiamare primo Gachet.
Il dottor Gachet di cui vi parlo qui, ora è la seconda versione e in realtà l’attribuzione a Van Gogh è chiaccherata, in breve sembrerebbe da voce autorevole che potrebbe essere stato realizzato da Gachet in persona e non dal dolce Vincent.
Mettiamo la cronaca della critica storico-artistica sulla questione a parte, e vediamo un tratto in particolare, il fiore, ovvero il particolare che accomuna i due quadri.
Si tratta di una digitalis, termine latino che significa ditale, nome che si guadagnò per il fatto che questo genere di erbacea produce un fiore la cui forma assomiglia a quella di un ditale, un oggetto usato indossandolo su di un dito per precauzione, quando si cuce qualcosa.
A parte tutto provate a immaginare la mia gioia nel poter vedere Paul Gachet, di incontrarlo, in un ritratto, come se fosse vivo, seppur per il tempo di un fiore reciso.
National Gallery Londra
Stanza 41
Per esempio di Georges Seurat la National Gallery colleziona Bagnanti a Asnières del 1884, Studio per Bagnanti ad Asnières, Arcobaleno: Studio per i bagnanti ad Asnières, ma anche la splendida Passeggiata del mattino, il Canale di Gravelines Grand Fort Philippe, Le Bec du Hoc Grandcamp e ancora per la serie dei Bagnanti: Vestiti sull’erba. Nella stessa stanza il puntinista, Thèo Van Rysselberghe con la azzurrissima Coastal Scene, dipinto datato 1892.

Durante la visita alla galleria nazionale inglese che riunisce numerosissimi dipinti dell’arte europea in una collezione divisa talvolta per nazioni, talaltra per movimenti artistici, sarà interessante notare come in Studio per Bagnanti, quadro preparatorio del 1883-4, la tecnica di colorazione sia a pennellate larghe, e come si possa leggervi l’intenzione del Puntillismo, considerando la tela “un appunto per il futuro”.
Oltre al Musée d’orsay e alla National Gallery, tra gli altri musei che vantano quadri puntillisti citiamo l’Art Institute di Chicago e l’Albertina di Vienna.
Puntillismo o Neoimpressionismo
Come nota generale si sottolinea qualcosa a proposito della doppia denominazione di Neoimpressionismo e di Puntillismo: quando si fa riferimento alla tecnica pittorica, si usa chiamare questa corrente artistica con il termine Puntillismo (o Puntinismo), perché il riferimento va al fatto che i quadri sono realizzati con macchie di colore puntiforme molto vicine tra loro; altrimenti nel caso in cui si voglia parlare dell’intenzione che ha portato alla nuova corrente artistica -di cui si è cercato di dare qualche lume in qualche articolo- e del movimento in generale, si dice Neoimpressionismo.
Nella maggioranza dei casi anche il termine post-impressionismo non è sbagliato in merito al Neoimpressionismo, anche se è bene precisare -qualora si voglia chiaramente parlare di Neoimpressionismo-, infatti Post-impressionismo è un termine con un bacino semantico più ampio e allo stesso tempo rimane a modesto avviso discutibile se il Neoimpressionismo rientri in qualche modo nell’Impressionismo, almeno per antitesi.
Probabile che sia più facile prendere confidenza con queste, per così dire questioni storico-artistiche, mettendo le mani direttamente nella storiografia e cioè nelle mostre d’arte realizzate da curatori e commissari esperti in materia.
La comprensione dei movimenti passa dalla loro descrizione e nuovi studi possono “essere utili”.
Per meglio dire meglio, di solito, attraverso nuove mostre si riesce a vedere almeno un aspetto della corrente artistica non chiaro, non immediatamente evidente e cosa forse ancora più significativa, si riescono a fare collegamenti con i periodi immediatamente precedenti o successivi e anche con risonanze molto posteriori, cosa di grande aiuto per chiunque voglia fondare i movimenti artistici, tessendo una immagine più definita di quello che è stata l’arte e l’umanità che la ha prodotta nel passato.
Cosa che può sollevare dalle incomprensioni quotidiane, più di quanto si possa persino immaginare non solo spiegare.
Per esempio al Musée d’Orsay ho trovato particolarmente interessante Da Seraut a Matisse (Felix Fénéon (1861-1944): i tempi moderni da Seraut a Matisse) che si è svolta nel periodo autunnale 2019 fino al 27 gennaio di quest’anno (2020), perché ha senz’altro dato un contributo nella comprensione di come Paul Gauguin, pittore di cui parlo più approfonditamente altrove (vai a Paul Gauguin: evasione), sia stato un pittore di fondamentale ispirazione per il gruppo dei Fauves e di sicura collocazione post-impressionista. Sebbene non sia puntinillista, azzardo, la sua vocazione nel racchiudere con tratti scuri e marcati, lo avvicina al neoimpressionismo oltreché per il motivo banalmente legato alla periodizzazione.
Théo Van Rysselberghe

Allargare la propria visione a “nuovi” fautori del neoimpressionismo ha i suoi buoni frutti, uno quello di allenarsi nel trovare analogie più che differenze, cosa sempre molto utile per sentirsi in armonia con il mondo in cui viviamo segnato come cifra maggioritaria dalla rapidità del cambiamento e poi la cosa dà la possibilità di scoprire nuovi artisti che erano lì a volte da secoli, a volte no, a volte da poco rispolverati dal magazzino di un museo, ma che comunque possono dare grandi soddisfazioni, come ad esempio il pittore non noto al grande pubblico, di origine belga, il cui nome vanta una notevole produzione in rispetto al numero dei quadri, così come una non usuale bellezza.
Sto parlando -come promesso via social- di Théo van Rysselberghe, belga, conservato naturalmente al d’Orsay, certamente all’Albertina, ma anche a Gand presso il Museo di Belle arti, così come al Kröller-Müller Museum di Otterlo.
Il neoimpressionista è scomparso nel 1926 e la sua vita, come mi pare tipico in quel periodo, è segnata da diversi viaggi, così come da alcuni bellissimi quadri.
Forse il viaggio in Marocco con ritorno in Belgio è stato quello che ha segnato di più i suoi colori e perciò i suoi quadri.
Non ho mai avuto il piacere di recarmi in quell’angolo di Africa, ma ne ho sempre sentito dire proprio a proposito dei colori, a chiunque io abbia incontrato che sia stato là ho tirato fuori il ricordo del colori di quei luoghi, di cui è intessuta la vita quotidiana di chi ci abita (tessuti, cibo, …) oltreché la terra in sé, il paesaggio.
Non saprò mai se quello che ho visto nei racconti era ciò che cercavo oppure perché c’è qualcosa che effettivamente non riusciamo a descrivere a parole, ma che resta attaccato al ricordo. Insomma Théo tornando dal Marocco dove si recò per tre volte, portò indietro al circolo letterario di Gand I fumatori Kef, Il venditore d’arance, Paesaggio marino al tramonto e Tangeri; di quel periodo tra il Belgio e il Marocco anche Ciabattino sulla via (1882), Ragazzo arabo (1882), Riposo di una guardia (1883) ed altri.
Théo van Rysselberghe espone nel 1893 al Salon de L’Essor di Bruxelles, il tema della mostra, per così dire il titolo è “Scene di vita Mediterranea” di cui oggi resta un messaggio tra gli altri, quello che riguarda un luogo che esiste nella realtà prima che nella nostra descrizione: il Mediterraneo, un mare oltreché un bacino di mare e terra formatosi molto prima che noi ne tracciassimo anche i confini culturali, sociali, … , e che è ancora lì, dove lo ha lasciato Théo, ancora buono per darci una identità oltreché una storia, come ha sempre fatto, da millenni a questa parte e che sicuramente ha ancora voglia di essere descritto, a parole, a macchie di colore, a impressioni, con fotografie, con odori, profumi, rumori, suoni, musiche, con qualsiasi mezzo, purché diversamente da come viene raccontato oggi per le tristi, sciagurate, incomprensibili vicende che vi accadono.
Arte contemporanea a puntini
Ultimamente seguendo il mio canale Instagram vedo diversi artisti, alcuni li aggiungo io, altri mi capitano nella bacheca; uno di questi che ha colpito la mia attenzione è Damien Hirst.
Damien Hirst è un artista internazionale affermato di cui è facile aver già sentito parlare seguendo la cronaca dell’arte contemporanea; trovare maggiori informazioni online sulla sua arte non è poi difficile, insomma in questo articolo è presentato solo a grandi linee, per una questione di coincisione; è all’attivo di una vasta produzione artistica la cui descrizione non si esaurisce certamente con i suoi quadri a puntini, rimando dunque alla curiosità personale la possibilità di tracciarsi un quadro completo dell’artista, a me interessa più che altro sottolineare un fatto, mi ha colpito vederlo dipingere con questi grossi pallini colorati.
Damien Hirst
Damien Hirst fatta salva la precedente premessa realizza delle tele di grosse dimensioni con dei pallini di colore ravvicinati e disposti a macchie, in modo da delineare dei rami in fiore, stagliati su un cielo azzurro; una scena che si potrebbe dire “primaverile” e che si allontana dal classico paesaggio in fiore, eppure conserva un qualcosa che potrebbe afferire alla pittura paesaggistica; credo si possa parlare di un paesaggio senza orizzonte più che di uno spicchio di cielo e questa considerazione mi è cara insieme ad un aspetto fondamentale: si può parlare di puntillismo vedendo questi Damien Hirst, si può fare liberamente o con alcune dovute considerazioni se lo si vuole fare con una qualche cognizione storico-artistica.
Considerazioni storico-artistiche
Prima di tutto a me sembra che sia descrivibile meglio come un artista estremamente poliedrico oltreché molto vivace più che come un artista puntinillista o peggio un action painter; tuttavia si può parlare di Puntillismo, in linea con la definizione artistica che comprende un genere di pittura, la pittura realizzata con l’avvicinare macchie di colore puntiforme; non si può invece in modo corretto parlare di puntillismo in riferimento a Damien se si considera l’aspetto legato alla storicità, alla temporalità della corrente puntillista; nel corso dell’articolo quest’aspetto, ovvero la differenza tra puntillismo e neoimpressionismo, è stato evidenziato con maggior precisione, in breve si parla di puntillismo in riferimento alla tecnica, mentre invece quando si tiene presente il periodo storico è più appropriato riferire con il termine Neoimpressionismo perché parliamo dei quadri realizzati dopo il periodo impressionista quadri che portano con sé una quantità di novità rispetto al periodo precedente oltreché una certa reazione all’impressionismo, si potrebbe dire una estremizzazione dell’impressionismo o appunto un neoimpreissionismo che si realizza attraverso questa tecnica dei puntini che congelano la scena dipinta.
Ancora è bene essere cauti nel riferire Hirst come un neoimpressionista per il fatto che questi quadri hanno un orizzonte differente rispetto a quelli dei pittori di quella corrente artistica i quali generalmente dipingono scene di vita quotidiana in spazi aperti.
Post-impressionismo, i Nabis
I Nabis è il nome che si da a un gruppo di artisti attivi negli anni novanta del XIX secolo; nabis è una parola di origine ebraica che significherebbe profeti; il termine sembra sia partito da un tizio di nome Nabis Auguste Cazalis, per indicare un gruppetto di artisti usciti dall’Académie Julian e dall‘école des beux arts.
Li chiamiamo anche post-impressionisti, ma sono già abbastanza distanti dall’impressionismo da appartenere ad un filone altro, quello del Simbolismo; i Nabis si concentravano intorno al pittore Paul Sérusier il quale a sua volta è legato a Paul Gauguin con il quale dipingeva fianco a fianco, l’intento comune, la ricerca che essi portano avanti è quella di produrre una pittura del tutto nuova.
Desiderano realizzare una pittura legata all’arcaico, libera dai canoni scolastici del dipingere e legata a un uso del colore originale.
Approndisco la vicenda del simbolismo in questo articolo, uno di quelli dedicati al secolo XIX ovvero all’Ottocento, si intitola Romanticismo dall’Estetica del Settecento a Nuove tendenze.
Articolo in aggiornamento.
di Elettra Nicodemi
Categorie:Arte Contemporanea, Storia dell'Arte
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