Vincent Van Gogh muore suicida nel 1890 a Auverse sur Oise, in Francia.
Nato nel 1853, soli 37 anni prima, a Groot Zundert in Olanda, è stato uno dei pittori più unici della storia dell’arte.
E la sua scomparsa innegabilmente lascia un grande vuoto nella comunità artistica dell’epoca, comunità fatta di amicizia scambi epistolari, incontri tra pittori, mercanti, acquirenti e simpatizzanti.
Alcuni scalini
Ha seguito la sua emotività fino alla follia di Auverse sur Oise.
Vincent Van Gogh ha realizzato oltre un migliaio di disegni e lo ha fatto con un suo stile inconfondibile, perciò credo abbia aperto un capitolo nuovo nella descrizione pittorica.
Segna un punto di discontinuità nell’impressionismo.
Autodidatta, “malato mentale”, fragilissimo e fortissimo perché tutt’uno con la sua arte.

Vincent Van Gogh ha fatto di più di riproporre paesaggi trasfigurati secondo i suoi sentimenti, “Vincent Van Gogh ha immedesimato in se stesso la natura”; ne ha parlato in questi termini il critico d’arte francese Octave Mirbeau a poco spazio dalla morte dell’artista olandese.
Personalmente ritengo che la sintesi di Mirabeau sia appropriata e in modo analogo penso al forte significato simbolico che vedo nell’ingestione di colori per dipingere da parte di Vincent, ingestione di cui si legge nella biografia redatta dal saggio di Karl Jaspers.
Si potrebbe dire che la natura è stata parte di Vincent, in una condizione di assenza di confini tra l’io del pittore e l’ambiente.
Vincent si è recato a Parigi il 6 luglio 1890, in visita al fratello e alla moglie.
Poi ha fatto ritorno in Auvers e, brevemente, si è tolto la vita.
Negli ultimi tempi della sua vita, come si desume da studi probabili sulle lettere, si era accentuata la tendenza suicida latente con riferimenti legati alla sensazione di essere di troppo.
Vincent erroneamente si sentiva un impiccio per il fratello Theo che secondo Vincent in futuro avrà da prendersi cura della propria famiglia nucleare e in particolare del figlio, il piccolo Wilhelm Vincent Van Gogh, senza essere tenuto al pensiero e alle economie del buon vecchio zio Vincent.
Così come probabilmente non furono di grande aiuto al distogliere Vincent dalla sua tragica decisione alcuni cambi di programma che hanno riguardato alcuni degli amici e lo stesso Theo, nell’impossibilità di andare a trovarlo nel tardo luglio del 1890 nel sud della Francia.
Campi di grano o Van Gogh?
L’opera Campo di grano con volo di corvi sembra che ci porta a far parte degli ultimi Van Gogh, ovvero un gruppo di tre opere con soggetto analogo descritte dal pittore stesso in termini di “cieli tormentati, tristezza e solitudine estrema”.
Con Campo di grano vediamo gli ultimi istanti della sua arte, infatti è stata ultima opera dell’artista prima del suicidio.
Lo studio delle opere pittoriche è però qui tralasciato nel seguito dell’articolo, infatti si preferisce riflettere sulla vita dell’artista, nell’ottica di far conoscere Vincent.
Non si ripone finalità alcuna se non quella di soddisfare e allo stesso tempo suscitare curiosità su un artista vissuto nel secondo Ottocento, cardine della arte contemporanea e culmine di quella impressionista.
Mal celata la velleità che una visione artistica complessiva possa trasparire dai suoi quadri, così che nello spazio di un post il lettore sia sulla buona strada per parlare di “vangogh”, ovvero dei quadri di Vincent in maniera unitaria, dove il tratto comune è segnato dall’artista stesso.
Vincent cerca amici
A dispetto di quello che si può pensare stando ad immagini frettolose che ritraggono il pittore, Vincent Van Gogh cercava continuamente compagnia; il suo essere solitario suppongo sia una conseguenza dell’ambiente in cui si inserisce non di una sua scelta volontaria.
Prendiamo ad esempio la lettera a suo fratello Theo del novembre 1883, scritta a Drenthe in cui racconta della gita a Zweeloo, il villaggio dove abitò per lungo tempo un certo Liebermann (pittore, 1847-1935).
Viaggio alle tre del mattino
Vincent all’andata prende un passaggio, dal suo padrone di casa che ha da recarsi in una località nella stessa direzione, Assen, dove si svolge un mercato.
I due partono su un carretto scoperto alle tre del mattino, attraversano la brughiera; pregevole la descrizione della campagna e delle abitazioni, Vincent riferisce di aver cercato di qualche pittore e di aver domandato alla gente se ve ne fossero.
Là a Zweeloo non ne se ne trova neppure uno durante l’inverno, cosa che pare di segno contrario all’aspirazione di Vincent che spera di potersi trovare proprio in quella località nei mesi freddi.
Lettere 1883
Questa lettera del novembre 1883 mi piace particolarmente, non solo per la considerazione a riguardo della ricerca di compagnia che ne traiamo possibilmente, ma anche perché mi sembra sia così descrittiva dell’animo di Vincent da essere un brano assolutamente desiderabile, fuori da tempo, eterno per il suo cogliere in maniera limpida il silenzio in cui spesso è facile imbattersi durante una gita in campagna, permette di vedere il senso di distopica lucentezza di fronte a un filare di pioppi e di lasciar correre l’immaginazione stando sulle querce, bronzee, per la prima volta e indelebilmente nel ricordo, colore puro proiettato sulle querce incontrante da Vincent in compagnia del suo padrone di casa su un barroccio all’ora in cui il sole spunta e proiettato da quel momento in avanti, dall’attimo in cui incontriamo il pensiero di Vincent le impressioni del dolce, grande, forte Vincent in ogni singola futura quercia che incontreremo.
“Solo molti schizzi”
Non c’è poi una buona ragione per preferire questa lettera del 1883 di cui vi parlo alle altre lettere, a parte il magnifico paesaggio fatto di fertile terra e cielo bianco-lilla, di grano giovane che spunta dal terreno; di sedersi accanto al fuoco dopo una giornata di emozioni e scoprirsi affamati, di cieca fiducia nella lettera del fratello non arrivata; e dalla domanda “Che si porta a casa da una giornata del genere?
E dalla risposta che ha il segno indelebile e incontrovertibile del parlare di Vincent al fratello, “Solo molti schizzi” che è ermeneuticamente Vincent, in modo completo e di cui si può intuire il tono, il sottotesto, conoscendo Vincent attraverso i suoi scritti, oltreché i suoi disegni.
In realtà poi non ha niente di più, ne nulla di meno delle altre dell’epistolario e addirittura forse meno significativa della lettera precedente scritta a L’Aia il 18 agosto dello stesso anno, 1883.
Il dovere, Ella
In quella del 18 agosto racconta di Ella e del dovere che “è una cosa assoluta”, e della nostra responsabilità di fronte al dovere.
Una responsabilità che concerne solo ed esclusivamente l’alternativa del fare o del non fare il nostro dovere.
Il che è proprio all’opposto del principio del fine giustifica i mezzi.
Il cane
Oppure della lettera seguente che racconta della sensazione verso mamma e papà, hanno lo stesso timore di accoglierlo in casa che avrebbero se si trattasse di un grosso cagnaccio, come una bestia, ammettendo di essere un cane, che ha una storia umana e anche se è soltanto un cane ha un’anima umana, e molto sensibile anche, che gli fa sentire quel che pensa di lui la gente.
Il cane-Vincent
Quel cane che è Vincent, capisce che se lo terranno vorrà dire soltanto che lo si tollererà e sopporterà in questa casa, di modo che cercherà di trovarsi un altro canile, d’altra parte un cane può mordere, può ammalarsi di rabbia e allora la polizia dovrebbe venire ad abbatterlo.
Non, una gentilezza così
Una lettera quest’ultima di cui parliamo che racconta profondamente il rapporto tra Vincent e Theo, fatti passati, la considerazione dello scrivente Vincent verso l’altro, “Tu sai, non è vero, che io ritengo che tu mi abbia salvata la vita”, parla di mettere eventualmente la parola fine a dei rapporti che probabilmente li costringerebbe su posizione false, una possibilità che può verificarsi serenamente senza compromettere il fatto che lui Vincent resta sia fratello che amico e che resta obbligato e grato nei riguardi di Theo perché Theo gli ha offerto il suo aiuto e ha continuato a farlo, infatti il denaro può restituirsi, ma non una gentilezza come quella di Theo.
Poi penso che la seconda lettera di cui abbiamo parlato qui, quella scritta a L’Aia è la più interessante di nuovo, perché dice prima del post scriptum addio, poi scrivimi presto e che Theo capirà che lui Vincent pone serenamente ogni fede nel futuro e senza che un solo tratto del suo volto riveli la lotta che si svolge nella profondità del proprio animo.
L’epistolario
Leggere tutte le lettere di Vincent che l’epistolario edito da Guanda raccoglie è qualcosa di altamente edificante.
Poi è qualcosa di meraviglioso, perché ci fa guardare con gli occhi di Vincent.
Qualcosa di istruttivo, sul fatto che i veri grandi artisti esistono e che sono per quello che hanno nell’animo, non per quanto sborsano per arrivare in alto, né per i compromessi, né per superbia imposta, né per presunta fortuna; gli artisti veri esistono e molto spesso mi pare sia dimenticato da chi ha gola di diventarlo e da chi crede per profitto o per paura che un qualche genere di sistema simile sia equo.
Che sciocchezza; quelli, gli artisti, esistono e sono sempre più rari perché si crede di poter creare sistemi nella nostra società per trovarli, sistemi che invece talvolta creano l’emarginazione dei veri artisti.
Quando invece è molto più facile incontrarne uno nel proprio quartiere facendosi una passeggiata con un filo di erba in bocca e le mani in tasca; semplicemente tenendo il cuore aperto.
A patto di non perdere il ricordo di cosa significa sentire, si riconoscono in maniera immediata, non abbiate dubbio alcuno.
Accettano aiuto solo da amici e non credono nel successo, l’arte è la loro vita, qualunque cosa essa sia.
Il legame con Theo
Sarebbe forse superfluo raccontarvi la sua vita, la vita di Vincent e darvi notizie didascaliche e biografiche su Theo, dato che Karl Jaspers lo fa in maniera mirabile prima di me.
Tuttavia in questa parte dell’articolo, vorrei raccontarvi dell’ultima parte della vita di Vincent Van Gogh e naturalmente del legame con il fratello Theo; se non posso farlo meglio di Jaspers, almeno posso metterci le mie impressioni personali, nell’ottica di una condivisione su un terreno di conoscenza comune.
I girasoli…del dottor Gachet
Credo che il dottor Paul-Ferdinand Gachet fosse davvero molto dispiaciuto il giorno della veglia funebre di Vincent, quando come sappiamo, si reca a fare visita al suo paziente morto portando con sé un mazzo di girasoli come consolo.
Lo immagino entrare a capo chino, addolorato, col volto coperto dal grosso mazzo di girasoli e poi tenere gli steli tra le mani finché qualcuno non porge una brocca d’acqua buona per metterli in fresco, un vaso probabilmente.
Poco prima quel mazzo trasportato in dono sulla strada per casa Ravoux dove alloggiava Vincent a Auvers sur Oise, il dottore lo ha alzato fino al naso, lo ha abbassato fino alle ginocchia, poi in certi casi lo ha preso su tenendolo tra le braccia come si porta un bambino, per poi alzarlo fino al cielo come in una parata.
Dei fiori, in alcuni momenti ne ha aggiustato i petali, poi si è compiaciuto di aver trovato una carta buona per avvolgerne gli steli e così, camminando fino all’uscio dove stava di casa il pittore, ha trattenuto le lacrime.
I medici hanno di solito molti pazienti e ne hanno un grandissimo numero durante la loro carriera e per questo a volte, in alcuni casi, può sembrare che le più gravi disgrazie passino loro davanti come acqua in un fiume.
Ma se c’è qualcuno che è dispiaciuto per come stanno le cose è un medico per il proprio paziente, specie se lo ha visto soffrire e non ha potuto guarirlo.
Il mattino del 30 luglio giunsero da Parigi otto amici tra i quali Dries Bonger, Lucien Pissarro (figlio del pittore), Bernard e papà Tanguy, che ricoprono con i suoi quadri le pareti della stanza in cui è presente la salma.
Antefatto, funerale e considerazioni
Vincent si spara un colpo di pistola il ventisette del mese, a margine e retoricamente, noto spesso con la locuzione di “il giorno di paga”.
Poi la sera rientra a casa e dice ai coniugi Ravoux di essersi sparato una revolverata.
Il dottor Gachet accorre, per provvedere a medicarlo e per informare Theo dell’accaduto.
Theo si precipita al capezzale del fratello ed è accolto da Vincent con le seguenti tragiche e vuote parole: “L’ho fatto per il bene di tutti, ho mancato il colpo ancora una volta”.
Il dottor Gachet non poté altro per Vincent, il pittore restò tutto il giorno del 29 luglio seduto sul letto a fumare la pipa, poi morì; non ci fu funerale perché all’epoca i suicidi non erano ammessi in terra consacrata e tanto meno non si potevano condurre le loro spoglie dentro la chiesa.
Solo in tempi recenti si è rivisto il dettato del rito nella considerazione che solo il Padre eterno può sapere se il suicida si sia pentito in punto di morte.
Ho sentito in passato parlare di una sorta di legame binomiale tra alcune persone tale che alla morte di uno l’atro sopravvive brevemente.
Per quel che può valere, sappiamo che le condizioni di Theo si aggravarano nel mese di ottobre e che anch’egli morì, di lì a pochi mesi.
Il dolore per la perdita di una persona cara può essere indescrivibile, tuttavia credo rimanga condivisibile; nella consapevolezza che anche altre persone hanno avuto perdite analoghe o almeno assimilabili.
Così come penso che la ingiusta vergogna per il dipendere economicamente da altri sia a volte insopportabile e sia opprimente; ma bisogna tenere presente due cose.
Il valore dell’aiuto reciproco e il valore della vita che va al di là di qualsiasi miseria, può essere di aiuto, per quel che può.
Guarda il dottor Gachet
La figura del dottor Paul Ferdinand Gachet è legata anche a un altro fiore ovvero alla digitalis, per il fatto che nel ritratto del dottor Gachet, realizzato in due versioni distinte, compare questo bel fiore a forma di ditale, l’oggetto utile ai sarti e a tutti coloro che cuciono qualcosa.
Il primo ritratto è appartenente a una collezione privata e è quello che vedete in questo post, e del quale a dirla tutta è da molto che non si hanno notizie.
Oltre alla digitalis nel primo Gachet è presente anche una modesta pila di libri e un bicchiere usato per vaso.
Sul secondo Gachet segui il link Inside The Staircase.
Mostre Van Gogh 2020
Attesissime almeno da qui, da Inside The Staircase, novità in merito alla mostra su Van Gogh in programma a Padova per l’ultimo trimestre dell’anno: Van Gogh, I colori della vita.
Nel seguito la mostra senese e la fiorentina.
Vediamo prossimamente a margine anche la mostra a Parma, capitale della cultura 2020.
Van Gogh, I colori della vita, Padova
Ne avevamo sentito parlare a inizio 2020, ma con le turbolenze dovute al covid19 che si sono fatte sentire anche nell’organizzazione di eventi, avevo deciso di aspettare a parlarvene, ma oggi in questa magnifica giornata di luglio si sono schiarite le nuvole sull’evento italiano in concomitanza con il 130esimo anniversario di Vincent van Gogh.
La mostra credo sarà una delle più significative di quest’anno, organizzata da Marco Goldin con prestiti del Kröller–Müller Museum e del grande museo Van Gogh di Amsterdam, rispettivamente la seconda e la prima collezione al mondo di opere dell’artista.
Ci saranno oltre un centinaio di opere di cui circa ottanta Van Gogh, in un percorso espositivo sicuramente contestualizzato e con un concetto.
Van Gogh. I colori della vita, questo il titolo, apre il 10 ottobre e resta aperta fino all’11 aprile 2021 a Padova la bella città al centro tra laguna veneta e prealpi, presso il Centro San Gaetano.
Le prenotazioni per l’ingresso alla mostra sono aperte a partire da martedì 1 settembre, link al gestore Linea d’ombra.
Il sogno di Lady Florence, Siena
Le opere esposte al livello 6 del Santa Maria della Scala a Siena arrivano dalla collezione d’arte della Galleria d’Arte di Johannesbourg.
La mostra intitolata Il sogno di Lady Florence Phillips apre il 24 luglio 2020 e resta visitabile fino al 10 gennaio 2020.
Van Gogh e i maledetti, Firenze
Crossmedia group propone a Firenze presso la Cattedrale dell’immagine, a partire da sabato 1° agosto, Van Gogh e i maledetti.
Lo spettacolo digitale è aperto al pubblico fino all’11 ottobre 2020, visitabile dal venerdì al lunedì dalle ore 10 alle 18 (ultimo ingresso alle 17).
Per visitare la mostra è necessaria la mascherina tra le varie precauzioni anti-covid19.
Attesa la novità del ritorno degli Oculus Vr per permettere un’esperienza immersiva a realtà aumentata nel percorso espositivo di 60 minuti realizzato con la multi proiezione a 360 gradi di immagini e con colonna sonora originale.
L’itinerario proposto dal gruppo Crossmedia group mette insieme Vincent e i pittori “maledetti” in un’interessante sintesi storico-artistica.
Van Gogh e i maledetti è una mostra digitale che ha il patrocinio del Comune di Firenze.
Si svolge nel complesso di Santo Stefano al Ponte, presso la Cattedrale dell’immagine di cui su Inside The Staircase ne abbiamo parlato in precedenza nell’ambito della mostra Inside Magritte.
Intervento video
Spunti per Approfondire
Nel video messaggio parlo tra le altre cose anche di qualche idea su quelle che potremmo chiamare le città del futuro o più in generale sull’uso dello spazio e su una possibilità di coniugare un pensiero di arte e un pensiero architettonico.
Le mie riflessioni derivano da studi di filosofia e sociologia, cito Jürgen Habermas per i suoi studi di agire comunicativo e mediatizzazione, in merito ho trovato online un webinar che seguo con grande interesse e di cui credo di valore certamente superiore per ampiezza e specificità, rispetto alle mie riflessione solitarie, per il fatto che essendo quella che vi propongo di seguito un’intervista a più voci di grandi personalità, la riflessione è senza dubbio più adatta al mio cortese pubblico per il quale cerco sempre di riservare il massimo della pluralità alla luce della libertà di pensiero.
Non in ultimo ho sentito in questo webinar dire esattamente quello che avrei detto io per quanto riguarda l’arte e lo spazio pubblico, lo adoro, da parte mia brava Prato!.
Van Gogh privati
L’asta di Sotheby’s si terrà a fine marzo 2021, tra le cose in vendita uno dei quadri di Vincent, uno dei pochi ancora appartenente a collezione privata.
Il dipinto è una scena di strada a Montmartre e ha una valutazione che va tra i cinque e gli otto milioni di euro.
Il dipinto appartiene per ora a una famiglia francese che lo acquistò nel 1920, si tratta di una rarissima tela parigina, raffigurante il quartiere di Montmartre, famoso per la basilica cattolica del Sacro Cuore.
Io ho avuto un incubo assoluto, voi?
A me personalmente non passerebbe nemmeno per l’anticamera del cervello di vendere un Van Gogh, credo che non riuscirebbero nemmeno a strapparlo dalle fredde dita del mio cadavere, io non lo venderei mai, sebbene io stessa adori le aste; in linea di massima detesto il macabro, ma considerate che ora come ora è in voga la Crypto Art e poi cercatevi, se ne avete voglia, la notizia di quel collettivo fanatico di Crypto Art che ha messo online un video in cui uno degli aderenti si è messo a bruciare il disegno di un noto artista contemporaneo dopo averlo acquistato a un asta per 96 mila dollari.
Aggiungo che certo ben capisco il detto mai dire mai e che uno possa avere in mente di vendere con rammarico per questioni economiche o familiari, così come ritengo che l’arte digitale possa essere una prospettiva interessante; quello che personalmente non tollero è la distruzione di qualcosa a favore di un’ideologia; il fondamentalismo, comunque si manifesti, è in ogni caso sempre sbagliato.
Dovrò fare qualcosa per evitare altri incubi simili.
Van Gogh visibili
Vi racconto la storia di ognuno di questi quadri, per ora potete vederli nel mio album; sono tutti di Vincent Van Gogh, sono tutti capolavori e sono tutti amatissimi, poi vi racconto qualcosa che già non sapete.
Il mio album Van Gogh
Articolo in aggiornamento.
di Elettra Nicodemi
Categorie:Letteratura, Storia dell'Arte
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