Per la copertina un’opera giovanile di Felice Casorati (Novara 1886 – Torino 1963), partecipe del Novecento tra gli anni ’20 e i ’40, periodo in cui la stilizzazione superera la superficialità esteriore.
Già ne Le due bambine del 1912 Sironi ha il gusto pacato che lo contraddistingue, la sua arte è pacata e riservata.
In generale, l’Europa ha la tendenza a riproporre le sue basi culturali.
Necessità, quella di richiamare i maestri, che si fece pregnante al termine del primo conflitto mondiale quando gli intellettuali e artisti si trovarono in un momento di “vuoto culturale”.
Le avanguardie del primo Novecento furono sfugate dalla guerra, si recise la linea di sviluppo che collegava naturalmente le necessità espressive e comunicative degli artisti.
Ricominciare da dove si era dovuto interrompere, non fu possibile; gli artisti si innestarono al “ramo principale”, ancora verde, ancora carico di senso e il taglio vivo arrivò addirittura al Quattrocento se non addirittura al Trecento europeo.
Maurice Raynald chiamò questo fenomeno rappelle a l’ordre, richiamo all’ordine.
Quello che si fece in Francia e specialmente in Italia fu un riassesto della prospettiva; così come della razionalità.
L’indicazione quattrocentesca (Bramante, Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti) è valorizzare i volumi geometrici come unità del reale.
Nel ‘400 si dipinse impegnando lo spazio di cui si strutturava proporzioni.
I volumi del corpo furono mossi in modo tale da rendere la passione degli uomini presenti nel luogo e nello spazio, in pieno contatto con le pulsioni più intime, non a caso a quell’epoca gli studi sulla struttura anatomica raggiunsero culmine.
Il ‘300 piuttosto provò a significare una semplificazione delle forme; l’arte a quell’epoca aveva avuto un’intenzione narrativa iconoclasta.
Si usò per spiegare e specialmente rimembrare i fatti del Vangelo e la Storia dei santi, d’obbligo citare con il trecento le immagini di Giotto.
A me pare che il lutto sia il termine determinante di questa corrente artistica novecentesca e spero vivamente che con il prossimo mettere le mani nella storiografica artistica si possa fare un passo avanti nella comprensione di questi realisti, bellissimi e carichi di dolore.
Non parleremo in questo articolo di Amedeo Modigliani per il fatto che Dedo ha un suo articolo Inside The Staircase, Amedeo +100 dedicato e per il fatto che lui è scomparso proprio nel 1920, ovvero nel punto in cui inizia questa storia.
Gruppo artistico “Novecento”
Il Novecento, termine con cui genericamente si riferisce a tutta la produzione artistica italiana tra gli anni ’20 e ’40, fu gradito al partito fascista per la manifesta volontà di ritorno all’ordine e per la plasticità delle forme, anche se come si è visto su Ottone Rosai i temi sono tutt’altro che fascisti, si potrebbero dire veristi.
Il gruppo artistico che si costituì nel 1922 a Milano si diede nome Novecento e comprese tra il suo novero moltissimi artisti, i più prolifici furono:
- Carlo Carrà,
- Morandi,
- Massimo Casorati,
- Campigli Massimo,
- Sironi Mario,
- Gianluca De Pisis e
- Ottone Rosai e inoltre
- Lorenzo Viani (Viareggio 1882-Roma 1936) artista ribelle.
Con l’arte italiana tra le due guerre siamo lontani dalla vasariana imitazione del vero; in linea di massima si disegna la natura inquadrandola in un ordine, l’ordine della ragione umana di fronte alla vita.
Novecento è il nome che si diede il gruppo artistico unitosi a Milano nel ottobre del 1922; la studiosa dell’allora arte contemporanea, Margherita Sarafatti, collaboratrice del Popolo d’Italia, giornale del partito fascista, fu ispiratrice e madrina del gruppo.
Storicamente Novecento designa il gruppo di 7 pittori fondatori, tuttavia per estensione, in campo artistico, si intendono con Novecento i pittori italiani e le loro produzioni nel periodo successivo alla prima mondiale, nel ventennio che unisce le due guerre mondiali, precisamente fino agli anni 1933-34.
Il Novecento non pubblicò mai manifesto di ideologia, non si può perciò intenderlo come una vera tendenza.
Inoltre sia chiaro, non espresse mai temi fascisti; il partito fascista lo vedeva di buon occhio per il ritorno all’ordine di cui si contraddistingueva, il cosiddetto rappelle a l’ordre di cui gli effetti rispecchiati nelle opere prendono talvolta il nome di realismo magico, come nel caso delle opere di Felice Casorati e di Carrà o di realismo naturalista per Giorgio Morandi.Nel caso invece della interpretazione tedesca di questo sentimento di richiamo all’ordine si parla di Neue Sachlichkeit (New Objectivity) più oltre nell’articolo.
dal mio editoriale sul Novecento
Realismo magico
Da una parte Giorgio Morandi che diede vita a un realismo naturalista, dall’altra Felice Casorati e Carlo Carrà, dipingono paesaggi o figure umane e oggetti tipici della vita quotidiana sotto una luce cimiteriale, un connubio tra inquietanti e rilassati, con un risultato di cui il critico Franz Roh parlò in termini di “realismo magico”.
Musei e mostre
Museo della Scuola Romana (Musei di Villa Torlonia, Roma)
Netta Vespignani, Miriam Mafai, Enzo Siciliano e Claudia Terenzi nel 2006 aprono al pubblico il Museo della Scuola Romana.
Le opere esposte nelle sale del Museo offrono uno sguardo d’insieme su uno dei momenti più interessanti e vitali dell’arte italiana del Novecento: la ricerca figurativa a Roma nel periodo compreso tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Museo della Scuola Romana
Realismo magico, Scuola di via cavour, pittori tonali, sono alcune delle denominazioni con cui indichiamo le opere esposte al Museo della Scuola Romana, il trait d’union di questa collezione pubblica è quello della profonda insofferenza di questi pittori all’idea di arte come espressione di un regime.
Uno su tutti ad esempio Luigi Bartolini di cui approfondisco più oltre nel corpo di questo stesso articolo, è arrestato nel 1933, si è dichiarato “interessato solo all’arte“, apertamente estraneo alla politica; l’artista è recluso per 5 anni, prima ad Ancona dove passa un mese in galera, poi a Montefusco, poi a Merano dove purtroppo resta carcerato fino al 1938.
La mostra Realismo Magico a Palazzo Reale di Milano
A quell’epoca tutti i paesi si potrebbe dire del mondo senza scordare l’esperienza messicana fin qui ancora non citata, in campo artistico sentirono il bisogno di ritrovare il realismo, l’ordine nella composizione, il riabbracciare i sentimenti del passato, dunque l’arte del passato, come già ho avuto modo di spiegare più sopra, in questo articolo.
Oggi, Realismo Magico il disegno di mostra di Palazzo Reale a Milano va a indagare proprio questa varietà eterogenea accomunata dal superamento delle avanguardie artistiche del primissimo Novecento di cui scrivo ad esempio nel mio articolo Tra pipistrelli e insetti, Egon Schiele e Paul Klee.
Da questa mostra mi aspetto
Considerando che il decennio precedente alla crisi del 1929 è molto fervido per il mercato dell’arte, mentre il terzo decennio del XX secolo segna una flessione tutto sommato negativa, da questa mostra intitolata Realismo Magico, la quale e abbraccia gli anni tra l’arresto della prima guerra mondiale e la sua prosecuzione nella Seconda Mondiale, mi aspetto naturalmente un approfondimento che permetta di comprendere come la cosiddetta crisi del ’29 impatti sulla produzione artistica, oltre a sottolineare il prima e il dopo del crack finanziario sulla vita in Italia e più in generale in Europa, ma inoltre -probabilmente in grado maggiore- mi aspetto la corrispondenza tra gli artisti, per esempio tra quelli che parteciparono alla rivista fondata nel 1918 da Broglio e altri artisti, e specialmente mi piacerebbe vedere i loro sentimenti, non soltanto sui quadri, ma anche nelle lettere e magari anche in balletti e produzioni musicali che siano realizzate per farci capire cosa provavano questi artisti secondo i curatori.
Cerco i loro sentimenti nell’aver perso amici e padri in guerra e cerco la loro attenzione alla libertà delle persone che normalmente segue l’interruzione del conflitto mondiale o meglio la situazione di pace; vorrei vedere quanto sia importante per questi artisti spostarsi verso città più fervide artisticamente e capire quanto lascino alle loro spalle in termini di affetti e speranze.
Il conflitto che va dal 1915 al 1918 ha segnato in termini di morti la popolazione italiana in maniera abnorme e per quanto riguarda il 1918 specialmente, si aggiungono le sofferenze e i decessi dell’influenza.
Mi piacerebbe sapere perché questa enorme sofferenza che sicuramente covava nell’animo di ognuno di questi artisti, in termini di perdita di cari e di traumi causati dalla militanza sul fronte occidentale, venga così largamente sottovalutata quando si parla di questo periodo artistico, che a grandi linee va dai ’20 ai ’40 del XX secolo o, secondo lenti più ristrette, è chiamato coi vari nomi di realismo magico, realismo naturalista, nuova oggettività.
Insomma a me pare che il lutto sia il termine determinante di questa corrente artistica e spero vivamente come dicevo più sopra, che possibilmente già con questa mostra, ovvero con il prossimo mettere le mani nella storiografica artistica si possa fare un passo avanti nella comprensione di questi realisti, bellissimi e carichi di dolore.
Artisti
Giuseppe Viviani
Giuseppe Viviani è un pittore e incisore italiano nato il 18 dicembre 1898 e scomparso il 16 gennaio 1965.
Nato ad Agnano una frazione nel comune pisano di San Giuliano Terme per un buon periodo della sua vita predilige Marina di Pisa.
Anche nei suoi quadri personalmente vedo la veste di lutto di cui parlo nella prima parte dell’articolo in riferimento ai pittori del Novecento, ma se negli altri artisti questa chiave di lettura è colta da occhio esperto, ma per lo più si intuisce, nella produzione di Giuseppe Viviani il lutto e in generale la morte nelle vesti di altra faccia della medaglia della vita, è chiara come il sole, anche se forse sarebbe più appropriato dire è buia e indisturbata come una notte di novilunio.
Traspare quel guizzo vitale che è tipico dei pochi che no sono annientati dalle barbarie, di chi è sopravvissuto oltre la violenza della guerra, di chi ha l’originalità dell’artista e per concludere, l’aria dei suoi quadri è salmastra.
I suoi litorali sono per così dire profumati di sale, con una grossa discrepanza: se a un certo punto l’aria del quadro per lo più resa in chiaroscuro, assume l’umidità del mare, la carica di sale che si percepisce è quella del mare agitato, eppure il mare è calmo, piatto come una lastra, liscio come l’olio; per questo penso che nei quadri del grande Giuseppe Viviani, la guerra sia appena posata, la pace sia fresca, la carne sulla ferita rimarginata, la cicatrice visibile..
Ho adorato la collezione Giuseppe Viviani, vorrei studiarla meglio per raccontarvi ancora della sua bestiale delicatezza.
Immagini dei quadri di Giuseppe Viviani
Luigi Bartolini
Luigi Bartolini (1892-1963) partecipa a quasi tutte le edizioni della prestigiosa Biennale di Venezia dall’età di 26 anni, ovvero dal 1928 fino al 1962 anno anteriore la sua scomparsa, pittore e letterato italiano, le sue acqueforti sono tra le più belle e numerose di questo periodo dell’arte italiana.
Marchigiano di Cupramontana in provincia di Ancona, si forma artisticamente all’Accademia di Roma, tra i suoi modelli artisti incisori del XVIII secolo, mentre i suoi esempi in pittura sono tratti dai Macchiaioli, i toscani Giovanni Fattori e Telemaco Signorini.
Intorno alla metà dell’Ottocento l’arte è frammentata; in Italia si parla ancora di realtà particolari tra loro non comunicanti, poco osmotiche, accomunate da un sentimento di insoddisfazione nei confronti del patto sociale; il malcontento è comune alla Francia e all’Italia anche se il caso italiano è particolarmente complicato a causa delle battaglie di indipendenza che movimentano gli anni centrali del secolo XIX […] per Firenze abbiamo Signorini, Fattori e Silvestro Lega; come si è detto, i pittori fiorentini sono al caffé Michelangiolo negli anni intorno al 1856, anno in cui nasce ufficialmente il movimento dei Macchiaioli.
Metà Ottocento, le città i pittori, alcuni musei, Elettra Nicodemi
Mi pare che Luigi Bartolini rimanga si potrebbe dire meno famoso o in altri termini è messo meno sotto le luci dei riflettori almeno al grande pubblico, tuttavia dal 1963 (anno della sua morte) ad oggi le mostre in cui appare questo artista sono circa una trentina, come si può vedere dall‘elenco delle esposizioni pubblicato sul sito web monografico dedicato all’artista.
Giorgio Morandi

In Giorgio Morandi manca quasi del tutto la figura umana; isuoi temi preferiti sono nature morte con o senza fiori e paesaggi.
Più che la persona, anzi del tutto assente, prevale l’oggetto, immobile, immanente, immutabile o sempre uguale a se stesso.
A suo favore si afferma: manca del tutto di monotonia; le variazioni che dispone sono essenziali.
Giorgio Morandi (Bologna/1890-1964) raggiunge l’essenza degli oggetti e ha una resa volumetrica tale che non stufa.
Gli oggetti in uso sono tutto sommato sempre gli stessi, cambia il momento spirituale su cui sono mossi.
MAMbo e Museo Morandi
Dal 2012 il Museo Morandi si trova presso la manica lunga dell’ex Forno del pane ed è adiacente alla Collezione Permanente del Museo di Arte Contemporanea MAMbo.
I Giorgio Morandi a Bologna presso il MAMbo e Museo Morandi sono esposti secondo le seguenti aree tematiche:
- Oltre il genere,
- Tempo e composizione,
- Il Paesaggio,
- La poetica dell’oggetto,
- L’Incisione.
Per permettere una contestualizzazione e per offrire una rilettura della vicenda artistica del pittore bolognese, il museo accosta ai suoi lavori opere di altri artisti contemporanei.
Sono organizzate periodicamente mostre che mettono in rilievo alcuni aspetti, in modo tale da permettere approfondimenti di varia natura e per rinnovare lo studio del percorso artistico dell’autore, tra queste la serie Re-collecting ideata da Lorenzo Balbi.
RE-COLLECTING
RE-COLLECTING è il nome che viene dato alla serie di esposizioni pensate per mostrare aspetti, opere e temi delle collezioni MAMbo e Museo Morandi.
In particolare Morandi racconta è un calendario di tre appuntamenti a cadenza bimestrale, su alcuni temi della ricerca artistica di Giorgio Morandi, con il primo appuntamento legato alle nature morte floreali, sono resi contestualmente visibili due dipinti di recente acquisizione, pervenuti al Museo Morandi in comodato.
Re-collecting, Morandi racconta: Fiori
I fiori sono uno tra i temi che l’artista bolognese prediligeva dipingere e sono proprio le nature morte con fiori e i fiori secchi in sé che lui stesso dipingeva al centro della prima esposizione di Re-collecting, a cura di Alessia Masi.
Le opere esposte sono state realizzate tra il 1924 e il 1957, si va dunque dal dipinto con i papaveri appena raccolti, a quello delle rose, soggetto presente nelle altre tele esposte, per un totale di una decina di dipinti e due acqueforti Giorgio Morandi in visione.
Presenti per la prima parte di Re-collecting anche due oggetti in porcellana e i fiori originali, di seta e non o meglio ciò che rimane dei fiori essiccati originali, usati come modello per i dipinti.
Una selezione di lettere e documenti è stata allestita come completamento del percorso espositivo.
Re-collecting, Morandi Racconta: TOno e composizione
Tono e composizione nelle sue ultime nature morte è il secondo ciclo della serie Re-collecting Morandi racconta allestito dal 4 febbraio all’11 aprile 2021, a cura di Giusi Vecchi.
Affronta la stagione artistica matura di Giorgio Morandi, abbracciando il periodo che va dal dopoguerra agli anni Sessanta, in particolare di quel periodo si tendono a mettere in luce gli aspetti tonali e compositivi delle nature morte morandiane.
Una limpida tensione psicologica sembra essere il tratto caratteristico del frangente temporale indagato e anche in questo caso come per il precedente ciclo di Re-collecting sono in esposizione dieci opere lavori nell’ottica di creare una sintesi espositiva efficace e aperta, sono infatti in realtà quasi settecento le nature morte morandiane di quel periodo.
E anche in questo caso come per il ciclo Fiori di Alessia Masi, materiali e documenti come ad esempio lettere, cartoline, riviste e fotografie e altro, cose normalmente conservate in archivio, sono esposte come correlato della mostra e a completamento del percorso espositivo.
Casa Morandi
Casa Morandi è la dimora-studio dove Giorgio Morandi ha vissuto e lavorato fino al 1964, si trova in via Fondazza, 36 a Bologna.
Il progetto di ristrutturazione della casa, affidato all’architetto Massimo Iosa Ghini, è stato realizzato grazie alla volontà del Comune di Bologna e Unindustria Bologna.
mostra temporanea 2022
Giorgio Morandi è in mostra a Piombino al Castello di Piombino (in provincia di Livorno, Toscana) dal 22 luglio 2022 al 30 settembre 2022 in una mostra collettiva con opere della collezione Pepi.
Intitolata Oltre la mostra è dedicata ai protagonisti dell’arte contemporanea, tra cui Giorgio De Chirico, fautore della pittura metafisica di cui ho scritto più approfonditamente in questo articolo La Metafisica: Giorgio De Chirico, Carlo Carrà, … poi l’interessante Pablo Picasso di cui ho scritto in questo articolo Cubismo, approfondimento e che ho avuto modo di vedere nel suo museo dedicato a Barcellona in Spagna, molti anni fa con una gita scolastica, poi alla collezione della Gam di Milano in Italia, a palazzo Belgioso, (potete vedere qui la visita alla Gam milanese) e infine presso il Musée d’Orsay a Parigi in Francia e che non spetto mai di guardare con meraviglia.
La mostra oltre in corso dal 22 luglio 2022 a fine settembre 2022, ha anche altri nomi di vi ho parlato, e di cui magari avete sentito parlare, magari leggendo Inside The Staircase, infatti mette in mostra Giuseppe De Nittis della scuola di Posillipo, Giovanni Fattori e Silvestro Lega, pittori cosiddetti Macchiaioli della metà dell’Ottocento e di cui potete leggere dove vi pare nel web oppure in questo mio articolo Metà Ottocento, le città i pittori, alcuni musei.
Non ultimo e naturalmente di casa a Livorno, Amedeo Modigliani a cui ho dedicato Amedeo +100 in occasione del centesimo anniversario del pittore labronico, celebrato in grande stile per quella ricorrenza proprio dalla sua città, Livorno.
Nell’articolo sopra citato dedicato a Amedeo Modigliani trovate tra l’altro un video realizzato presso la mostra 2020 Amedeo Modigliani e l’avventura di Montparnasse, informazioni sul film dedicato al pittore e ala sua vita, poi un tour virtuale intitolato Nel segno di Modigliani. i
Infine vi segnalo un approfondimento dedicato al cosiddetto passaggio dalla Macchia a Modì in riferimento alla mostra tenutasi a Montecatini Terme (in provincia di Pistoia in Toscana ) nel 2021 e che può essere ancora interessante proprio per avere un piano in più su cui riflettere visitando la mostra Oltre al Castello di Piombino.
Felice Casorati e altri
Casorati e Campigli disegnano figure umane, studiano e stilizzano i volumi.
Il primo, Felice Casorati (Novara 1886- Torino 1963) ha come nota distintiva la capacità di collocare le figure entro una precisa intelaiatura spaziale.
Massimo Campigli (Firenze 1895- Saint Tropez, FR, 1971) stilizza più dell’altro e nelle sue opere si vedono le influenze dell’approfondito studio sull’antico (per confronto ved. spec. Le amazzoni, Campigli, 1928 ).
Mario Sironi disegna paesaggi urbani per lo più; per quanto riguarda i ritratti che stila, si riconoscono perché sono stesi su pochi piani.
Le sue figure sono spigolose, per il fatto che non sono inserite in una prospettiva fluida, sembrano a scatti.
Filippo De Pisis e Arturo Tosi prendono a modello l’impressionismo, amano i paesaggi naturali, mentre Ottone Rosai (Firenze 1895-Ivrea 1957) dipinge Firenze, sua città natale, ne narra i vicoli, le bische, i musicisti, i vicoli talvolta bui, tortuosi.
Carlo Carrà
E Carrà (Carlo Carrà Alessandria 1881- Milano 1966) ammira Paolo Uccello, studia la prospettiva aerea di Leonardo da Vinci, medita su Paul Cezanné e sul cubismo.
I suoi quadri in cui i cieli divengono quieti orizzonti davanti ai quali pacata si leva l’apparizione del paesaggio hanno per oggetto vedute della Valsesia, della Liguria e della Versilia che dal ’26 diviene sua meta estiva fissa.
Dipinti durante l’inverno, i suoi quadri soffrono delicatamente della attesa nella memoria; i quadri abbozzati in estate sono terminati durante l’inverno a Milano, lontano dal loro luogo di ritratto.
Burri, Morandi e altri amici a villa Bertelli
“Burri, Morandi e altri amici” il titolo della mostra sottotitolata “La passione per l’arte di Leone Piccioni” è attualmente in corso a Forte dei Marmi presso Villa Bertelli.
Aperta lo scorso 15 giugno e inizialmente programmata fino al 15 gennaio 2020 resta aperta oltre il primo termine, la chiusura infatti è stata prorogata a domenica 1° marzo 2020.
Presso villa Bertelli a Forte dei Marmi sono esposte 108 opere dei maestri dell’arte italiana in un percorso espositivo che dialoga con la letteratura.
Ermindo Tucci ricorda il grande Leone Piccioni e commenta a proposito dell’importanza della promozione sul territorio della cultura del Novecento. La mostra è curata da Piero Pananti e Gloria Piccioni.
Il gruppo artistico che si costituì nel 1922 a Milano si diede nome Novecento e comprese tra il suo novero moltissimi artisti. I più prolifici furono Carlo Carrà, Morandi, Casorati (di cui la copertina), Campigli Massimo, Sironi Mario, De Pisis e Rosai e ancora Lorenzo Viani (Viareggio 1882-Roma 1936) artista ribelle.
Dal mio articolo Il Novecento tra le due guerre
Immagini della mostra “Burri, Morandi e Altri amici”
Corrente artistica “new objectivity”

Otto Dix (Germania/ 2 Dicembre 1891 – 25 luglio 1969) è il nome più noto del movimento artistico conosciuto come New Objectivity.
Iniziatao in Germania intorno al 1920, Neue Sachlichkeit, si afferma dopo il 1923, in controtendenza rispetto alle produzioni dello stesso periodo in altre parti d’Europa.
Con la pace del 1918, si impone in Germania un clima di tensione e incontentezza.
L’impegno politico attraversa la società in maniera trasversale.
Dare attenzione all’io personale (tipico dell’espressionismo mittleuropeo) è debolezza da parte dell’artista.
Si privilegia l’io collettivo. Il periodo è alle prese con la depersonalizzazione del nuovo urbanesimo. L’arte è politica.
Crea da una parte manifesti per o contro il nascente nazionalsocialismo, dall’altra mostra l’uomo privo di sentimenti, vuoto. La sua corporalità è più importante dell’espressione del suo dramma psicologico.
L’uomo nella New Objectivity non soffre, occupa spazio.
Otto Dix deforma
Nei suoi olii su tela le figure seguono le linee dell’ambiente in cui sono inserite.
In Il venditore di fiammiferi l’artista ferma lo sguardo su una comparsa delle strade cittadine. L’uomo rivolge il viso al corso dei cittadini, di cui si vedono solo le gambe, disegnate con pendenza accentuata, veloci, rapidi attraversano il suo marciapiede.

Lui siede, il pacco con le scatole di fiammiferi sulle coscie; ha le gambe mozze, amputate. Forse è uno dei tanti veterani di guerra, viene fatto di pensare.
Porta occhiali scuri, è cieco. Anche se a tutta prima l’unica cosa che sembra è un uomo che guarda.
Porta i baffi, non ha mani che escono dalle maniche, è vestito fuori stagione.
Un cane, davanti a lui sul marciapiede, gli piscia addosso; incurante.
L’opera il Venditore di Fiammiferi è del 1920, olio su tela di 141 x 166 cm.
Max Beckmann e George Grosz sono altri due artisti intorno alla New Objectivity, corrente caustica, satirica, senza compassione.
Berlin Metropolis 1918-1933 alla Neue Galerie
La Neue Galerie di New York ospita Berlin Metropolis 1918-1933 fino al 4 gennaio 2016.
La mostra aperta il 1°ottobre 2015 è dedicata alla città di Berlino nel periodo della repubblica di Weimar.
L’esibizione esplora la città usando un approccio multimediale, svelando questo periodo complesso attraverso i dipinti, i disegni, le sculture, i collage, la fotografia, l’architettura, i film e la moda.
La mostra è organizzata da Olaf Peters, professore di Storia dell’arte alla Martin-Luther Universität Halle-Wittenberg, scolaro distinto e storico. Il dott. Peters ha recentemente curato la mostra del 2013 della Neue Galery “Arte degenerata: “L’attacco sull’arte moderna nella Germania nazista, 1933”, così come la mostra del 2010 “Otto Dix”. Il designer per la mostra Berlin Metropolis e per il catalogo è Pandiscio Co.
Approsimativamente saranno visibili 300 lavori, organizzati in 5 gruppi tematici:
- La nascita della Repubblica;
- Una nuova utopia;
- La “Neue Frau” o la Nuova Donna;
- La crisi della modernità;
- Nell’abisso.
I pezzi migliori dell’esposizione includono un certo numero di capolavori creati a Berlino durante questo periodo come Herbert Bayer, The Lonely Metropolitan (1932); Max Beckmann, Film Studio (1933); George Grosz, Metropolis (1917); Raoul Hausmann, Dada Triumphs (1920); Ludwig Meidner, I and the City (1913; Lily Reich, Collage (1930); Rudolf Schlichter, Blind Power (1937); Georg Scholz, Of thing to come (1922), così come le opere principali di John Heartfield e Hannah Höch.
Questa mostra ha coperto la città da varie prospettive con l’intento di dimostrare i drammatici cambiamenti accorsi in quel periodo.
La Neue Galerie di New York è sulla 5th Avenue al 1048, New York, NY.
Si ringrazia la persona dell’illustre storico dell’arte e illustrissimo critico Carlo Pepi di Crespina.
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Italia.
Articolo in aggiornamento.
di Elettra Nicodemi
Categorie:Storia dell'Arte
2 risposte »
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